Fermarsi un attimo…ad ascoltare

L’esperienza degli scout Montecelio 1 con gli operatori notturni della Caritas
DSC03160La notte tra l’1 e il 2 marzo scorso, è stato il gruppo scout Montecelio 1 il protagonista delle unità di intervento notturno per i senza dimora che vivono in Strada.
Dodici ragazzi che, prima di iniziare questa esperienza, si sono confrontati con gli operatori della Caritas diocesana per condividere le modalità di intervento: in strada senza cibo o bevande, al fine di mettere il focus sulla relazione e osservare come questa prenda forma.
«Mi hanno colpito gli occhi basiti dei ragazzi davanti a questo ribaltamento di prospettiva», spiega Mario Urbinati, responsabile dei gruppi. Un cambio di prospettiva a cui non erano preparati: «cosa intendi per relazione? Io ho già fatto servizio su strada ma servivo panini e bevande calde, si effettivamente non ricordo di aver parlato con nessuno veramente» ha detto una delle ragazze.

Dalla testimonianza degli operatori Caritas

camera di Slobodan 2Scegliamo di cominciare il nostro intervento passando da una nostra conoscenza, il nostro amico G. In apparenza, c’è solo un telo poggiato sul marciapiede tanto che i ragazzi hanno pensato che non ci fosse nessuno. È un ragazzo etiope con grandissime problematiche relazionali e psichiatriche. Avvicinandoci, lo troviamo ancora sveglio. Sembra riconoscermi, così gli presento i ragazzi, dicendogli che siamo venuti a trovarlo. Parla a fatica ma si abbandona all’ironia perché alla domanda di uno di loro: «da dove vieni?» risponde:»“dagli Stati Uniti», lasciando trapelare un sorriso. L’incontro sembra essere costellato di silenzi e qualche domanda timida ma è venuto in modo del tutto spontaneo restare accanto a lui, anche solo per fargli sentire la nostra presenza, rispettando le sue chiusure e i suoi tempi.

volontari con SlobodanAll’ingresso principale della stazione di San Pietro dormono almeno cinque senza fissa dimora. Incontriamo C. che al nostro arrivo esce fuori dalle coperte e si ferma a parlare a lungo con noi. Ci racconta della sua storia, del suo trovarsi a Roma per lavoro, lontano dalla sua famiglia e dai suoi figli che vivono in un’altra provincia laziale. Colgo gli occhi curiosi dei ragazzi che ascoltano e si sentono accolti da questo signore che ci ospita nella sua casa e ci introduce agli altri “coinquilini”. Gli chiediamo se possiamo fare una foto insieme e lui accetta di buon grado, lascia il suo giaciglio per venire in mezzo ai ragazzi. Ci ringrazia della visita e ci indica altre persone che potrebbero essere dall’altra parte della stazione. Così proseguiamo il nostro giro e, nella sala d’attesa, conosciamo P. e N. che all’inizio sembra non capire la nostra visita e non accoglierci molto bene: «vi presentate a mani vuote e allora che vogliamo fare». Noi abbiamo risposto che ci sarebbe piaciuto parlare un po’ con loro. L’impatto iniziale per i ragazzi è stato forte poiché, con un velo di sarcasmo, N. ci ha fatto capire che non sono loro le persone con cui parlare. Quella di N. è stata una scelta di vita, come ci ha sottolineato più volte. Nonostante le sue provocazioni, è stato interessante il nostro rimanere ad ascoltarlo per più di un’ora. Mi ha colpito la spontaneità dei ragazzi con cui si sono seduti accanto a lui; abbiamo fatto quasi fatica ad andarcene.

Sulla via del ritorno, ho condiviso con i ragazzi le emozioni provate. E’ stata questa un’esperienza nuova e molto forte per loro. Una ragazza in particolare ha detto: «Devo elaborarle tutte queste emozioni prima di capirle». Fermarsi per parlare, fermarsi ad ascoltare, anche solo fermarsi.