«C’è una forza grande di bene che attraversa Roma. È invisibile. Ma è l’anello portante della nostra città. Sono tanti i volontari, che si dedicano al servizio degli altri, che puliscono le piaghe più purulente degli ultimi, che si mettono in ginocchio davanti al povero e lo curano». Un invito a fare le “differenza” viene lanciato da monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, in un’intervista all’agenzia SIR della Conferenza episcopale italiana, alla luce di quanto sta emergendo dalla seconda tranche dell’inchiesta su Mafia Capitale.
L’errore oggi sarebbe quello di generalizzare e gettare un’ombra di sospetto su quanto di bene si sta facendo in città proprio a fianco degli ultimi. E invece, confida monsignor Feroci, «siamo visti come coloro che allo stesso modo stanno facendo interessi sulla pelle dei poveri. E questo è deleterio. Ma non tanto per me o per noi perché la nostra coscienza ci dice quello che siamo. Mi dispiace se il nostro servizio vero e autentico per i poveri venga colpito». «Vorrei dire – aggiunge il responsabile della Caritas di Roma – che vicino a tante persone che hanno in mano la penna e i microfoni, ci sono tante, tantissime forze nascoste e invisibili che lavorano a fianco dei poveri. Come Caritas ogni giorno a Roma diamo mille pasti. Le persone che stanno in mezzo ad una strada, vengono ogni giorno cercate, raccolte, curate. Non lo mettiamo sui giornali, non lo sbandieriamo sui media. Ma esistiamo. Non ci importa di niente: il povero c’è e noi lo serviamo».
Il direttore Feroci racconta uno dei tanti esempi di solidarietà cittadina: «la settimana scorsa abbiamo raccolto nella nostra casa una persona che stava dentro un ospedale di Roma e gli infermieri lo hanno preso e lo hanno parcheggiato su una panchina. Poi è caduto ed è stato otto giorni così, per terra, avvolto dalle sue stesse feci. Alla fine siamo andati là, lo abbiamo preso, lo abbiamo pulito. Ma questo fatto sui giornali non andrà mai». Per questo, “il primo sentimento” che la Caritas romana oggi prova di fronte all’inchiesta, è quello di «dolore. Una città sporcata in questo modo – confessa monsignor Feroci – è un fatto gravissimo, segno di una febbre alta». «Il nostro primo dovere è quello di alzare la voce per chiedere perdono proprio ai poveri perché sono e saranno loro le vittime».
Riguardo al coinvolgimento di cooperative “bianche” nell’inchiesta, il direttore della Caritas afferma: «vicino a Gesù c’era un apostolo che lo ha tradito. Quindi il problema del peccato è insito dentro di noi. Non perché uno si dice cristiano o perché le cooperative si dicono “bianche”, significhi che siano esenti dal peccato. Qualunque persona abbia utilizzato soldi pubblici per fini personali, da qualunque parte stia, si dichiari cristiano o non cristiano, ha fatto del male. Ma se uno dice di essere discepolo di Cristo è come Pietro che tradisce Cristo e come Giuda che se lo vende». «C’è dunque un malessere – prosegue il direttore di Caritas Roma – che non è più solo di natura economica e non si risolve con le leggi e né con l’impiego delle forze dell’ordine. Credo che dovremo avere tutti, nessuno escluso, un sussulto di onestà. E coi come Chiesa dovremmo essere testimoni di verità, di giustizia, di amore e solidarietà. Se non c’è questo sussulto, le leggi e le inchieste potranno fare molto poco».