Chiedere perdono è un’azione di conversione che ci conduce al profondo di noi stessi e ci invita riconoscere le nostre fragilità e le nostre incongruenze. Siamo troppo orgogliosi per farlo. Mentre perdonare si rivolge alle debolezze dell’altro e alla presunzione di conoscerle e capirle, chiedere il perdono ci pone invece di fronte alle nostre fragilità rendendo questa azione un atto di responsabilità e di disponibilità verso quel Regno che può essere costruito solo nella logica di Dio Misericordioso. Domandare perdono è vivere il coraggio e l’umiltà per “alzarsi ed andare dal nostro Padre”; per accogliere la nostra povertà e affidarla a lui. Approfondire e capire le nostre colpe non può essere ridotta a un’azione sterile e di circostanza; un perdono generativo implica una cammino di riposizionamento dei nostri valori e delle nostre convinzioni alla luce della Parola di Dio e ci introduce in un cammino di conversione.
È In questo cammino che la nostra disponibilità a vivere il perdono non può limitarsi al riconoscerci incapaci di giustizia ma deve tradursi nell’avviare percorsi di giustizia. Perdonare non diventa solo superare le offese che riteniamo di ricevere ma diventa accogliere la novità di un Dio che ci invita ad “amare i nemici”. Il figlio prodigo non si ferma a commiserarsi; ma si alza ed ritorna da suo Padre. Un Padre capace di Misericordia infinita, pronto e attento ad accoglierlo , ma proprio per questo incapace di imporre al figlio di mettersi in cammino vero di Lui.
Nei luoghi di conflitto arriva il momento in cui per esorcizzare la violenza vissuta si cercano momenti che possano celebrare l’idea di perdono e riconciliazione. In quei casi si rischia la superficialità di un perdono che non è ancora diventato storia di salvezza. Non è difficile organizzare incontri dove con competenze e interesse discutiamo della necessità di ricominciare nella pace e firmiamo impegni per il futuro. Difficile è ricominciare davvero, lasciare alle spalle una violenza che non può esser dimenticata con facilità perché è diventata carne viva, per cercare nella quotidianità un perdono fatto di gesti e percorsi condivisi. I poveri non chiedono le nostre scuse ma la nostra conversione perché possiamo celebrare un incontro vero con loro. Non basta riconoscere la nostra indifferenza; c’è da mettere in moto percorsi intimi e collettivi di attenzione che necessitano di pazienza, disponibilità e confronto con la Parola di Dio. Diversamente il perdonare resterà un rito vuoto sostenuto da parole di circostanza che non toccano la vita.
Solo col coraggio di chiedere perdono delle nostre debolezze impareremo a donarlo e potremo recuperare la nostra vocazione alla libertà, alla vita e alla Parola che ci trasforma in persone nuove. Il perdono non è una pietra messa sopra qualcosa che non si vuole più vedere e che vorremmo cancellare; il perdono è una pietra scoperchiata verso il nuovo che si vuole vivere. Adesso. Perdonare è un verbo che si coniuga al presente.
Oliviero Bettinelli
responsabile Area Pace e Mondialità