La paura di uno “slittamento” etico

L’arte di arrangiarsi nei film

Ancora non sono evidenti le tante conseguenze collaterali della pandemia che sta tenendo sotto scacco il mondo. E, purtroppo, avremo modo di scoprirlo poco a poco. Di fatto, siamo di fronte a un ulteriore scatto in avanti delle nuove forme di povertà, delle nuove sacche di malessere sociale che vanno crescendo come funghi velenosi dopo una tempesta. Proprio in questi giorni, ad esempio, Papa Francesco ha invitato a pregare per le famiglie che hanno perso il lavoro (giornaliero, in nero) che li manteneva e che possono finire tra le braccia degli usurai.

Che sottotraccia viaggiasse anche il virus dell’usura già da tempo non è cosa nuova, soprattutto per le parrocchie e i tanti operatori sociali che si confrontano da decenni con il disagio di tante persone, di tante famiglie.

Non a caso, nell’ultimo Rapporto annuale della Caritas di Roma sulle povertà, si è scelto di far emergere il fenomeno e di dare ad esso particolare evidenza. Ma la drammatica congiuntura attuale fa percepire in maniera palpabile il rischio di una sua ulteriore crescita. Caritas Italia ha denunciato un aumento dal 20 al 50% delle richieste di aiuti alimentari a causa dell’emergenza corona-virus. La pandemia sta lasciando numerosi nuclei familiari nell’indigenza più assoluta riconducendo la povertà alle dimensioni primarie: l’impossibilità di mangiare e di nutrire i propri figli, una situazione di emergenza che può spingere ad avvicinarsi a realtà prima avvertite come minacciose o illegali.

Quando nel 2008 il mondo globalizzato fu interessato da una crisi di liquidità mondiale, alcuni osservatori sociali preconizzarono che il disagio generalizzato avrebbe potuto produrre una sorta di “slittamento” etico, un avvicinamento progressivo di alcuni agglomerati sociali a confini una volta ritenuti estranei e invalicabili; una nuova e diversa disponibilità ad accettare soluzioni compromissorie o rischiose. Forse si è fatto troppo folklore, soprattutto nell’industria culturale e di comunicazione di massa, sulla spericolatezza degli italiani nello sfangare la vita.  Del resto chi non ricorda la confusa arte di arrangiarsi, specie in alcune aree più povere del Paese, all’indomani del secondo conflitto bellico mondiale che il cinema ci ha raccontato in maniera magistrale?

C’è di nuovo, rispetto ad allora, ”il clima sociale” che si respira: se allora  la rocambolesca  capacità di sbarcare il lunario, anche con qualche scivolamento  etico, aveva un sottofondo di allegria, perché ci si era comunque liberati del mostro della guerra e si intuiva, sia pure per approssimazione, che ci sarebbe stata un’Italia da ricostruire, oggi l’atmosfera è molto più cupa: neanche il più ottimista degli analisti sociali si azzarda a prefigurare scenari euforici di rilancio e di crescita. Oggi la questione è limitare le perdite e semmai fare della grande crisi post epidemica l’occasione per costruire una società migliore, più vicina ai veri bisogni delle famiglie, meno a quelli del grande capitale. Perciò, chi ricorre ai prestiti usurai e alle ambigue offerte d’aiuto di “certi personaggi” non lo fa certo con il disinvolto cinismo di chi vuole tentare affari e svolte assistenziali o consentirsi consumi di alta gamma. Oggi si tratta di mantenere quel minimo vitale che consenta di pagare un affitto per quanto modesto (in un contesto in cui le politiche per la casa sono da molti anni abbandonate e rovinosamente slegate dalle altre politiche sociali) e di mettere un piatto caldo a tavola.  Vale a dire, che anche il fenomeno del sovraindebitamento delle famiglie, già prima della pandemia assai problematico (nel Lazio riguardava 208mila nuclei familiari, con un incremento del 14% dopo un decennio di crisi) oggi diventa una questione diversa e più grave. La rete dei centri d’ascolto parrocchiali e dei centri diocesani si rivela più che mai una rete di salvataggio, la forza gentile di operatori e volontari un’assicurazione per la sopravvivenza dei più fragili. Dopotutto, se una cosa si è capita è che bisogna promuovere una nuova attenzione ai territori.

Elisa Manna
Area Studi della Caritas di Roma

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