Il monitoraggio realizzato da Caritas Italiana sull’impatto del Covid–19 in 169 diocesi italiane ci fornisce i risultati della seconda rilevazione. Descrivono una Chiesa che è stata “in frontiera” a fronteggiare gli esiti drammatici di un flagello che, in questi giorni, lascia “respirare” l’Italia, ma che è tutt’altro che estinto. Se infatti possiamo parlare di “fase due” dal punto di vista sanitario, nell’ambito degli effetti socio–economici la pandemia è ancora nel mezzo della “fase zero”.
Il monitoraggio evidenzia un incremento dei problemi legati alla perdita del lavoro e delle fonti di reddito in quasi la totalità dei casi (96 %), mentre oltre la metà segnala difficoltà a pagare il mutuo o l’affitto, ma anche disagio psicologico–relazionale, difficoltà scolastiche, solitudine, depressione, rinuncia alle cure e all’assistenza sanitaria. Situazioni che vanno ad aggiungersi e a peggiorare altri ambiti di povertà ormai stratificate.
Dei 450 mila interventi censiti a livello nazionale da marzo a giugno, circa 30 mila si sono svolti nelle parrocchie e nei centri di Roma. Anche nella nostra diocesi il primo e più clamoroso effetto del Covid– 19 è l’impoverimento economico, ma questo non vuol dire che non si siano registrate anche forti difficoltà sul piano psicologico e dei rapporti umani.
Il 60% di quanti si sono rivolti alle Caritas sono italiani; per lo più disoccupati in cerca di nuova occupazione, persone con impiego irregolare fermo per il lockdown, lavoratori precari, saltuari che non godono di ammortizzatori sociali, lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione, autonomi e stagionali in attesa del bonus, pensionati, inoccupati in cerca di prima occupazione, persone con impiego irregolare, casalinghe. Un mondo di persone che “sfangano la vita” ma quasi tutti sempre sul ciglio del precipizio. Avevamo parlato pochi mesi fa di questa fascia di popolazione nel Rapporto sulle povertà a Roma 2019, coniando la definizione di “equilibristi della povertà”. Un universo invisibile e confuso dove coesistono diverse forme di fragilità lavorativa, secondo modalità sedimentate negli anni e che hanno consolidato una base occupazionale friabile.
Una sedimentazione sociale che, si avvertiva nel Rapporto, avrebbe potuto dar luogo a uno scivolamento repentino verso il bacino dei nullatenenti e dei disperati. Non a caso delle persone accompagnate e sostenute da marzo a maggio il 34 % sono definite “nuovi poveri”, cioè persone che si sono rivolte per la prima volta alla Caritas. Una trasformazione vera e propria della stratificazione sociale, che ci interpella come cristiani e come cittadini. Un invito a impegnarci, in modo molto concreto, ci è arrivato da papa Francesco con l’istituzione del Fondo “Gesù Divino Lavoratore”. Il nostro vescovo ci chiama a costituire un’alleanza tra Chiesa, istituzioni e cittadini «in cui ognuno, per la sua parte, si senta protagonista della rinascita della nostra comunità dopo la crisi». È un tempo, ci ricorda, in cui «non basta più condividere solo il superfluo».
Un altro aspetto, che ogni giorno constatiamo con mano e che in quest’ultimo periodo si è palesato in modo ancora più determinato, è la difficoltà che hanno le persone povere a far valere i propri diritti. Se è vero che non si può dare per carità ciò che è dovuto per giustizia, dobbiamo allora accompagnare chi si rivolge alle nostre parrocchie in cerca di aiuto ad ottenere quanto gli è dovuto. Le molte misure messe in campo dalle istituzioni per fronteggiare l’emergenza, proposte a volte in modo improvvisato e sconsiderato, in molti casi hanno escluso proprio chi ne aveva maggior bisogno. Per questo abbiamo attivato un percorso di formazione a cui hanno partecipato oltre 700 animatori delle parrocchie, per promuovere punti di ascolto e assistenza.
La speranza che possiamo coltivare è che, come ci invita a fare il Papa, che questa grande frattura ci aiuti a immaginare tutti insieme un mondo più equo e più attento ai bisogni degli ultimi.
Don Benoni Ambarus
direttore
Su Roma Sette del 5 luglio