Instancabili costruttori di speranza

Oltre 400 ospiti e volontari della diocesi di Roma alla Messa con papa Francesco

«A noi è chiesto questo: di essere, tra le quotidiane rovine del mondo, instancabili costruttori di speranza». È l’invito di papa Francesco ai poveri e ai volontari che li accompagnano presenti domenica 14 novembre alla celebrazione eucaristica per la quinta Giornata mondiale dei poveri che ha presieduto nella Basilica di San Pietro.

Sono stati oltre quattrocento gli ospiti delle strutture di accoglienza della Caritas diocesana e di coloro assistiti dai Centri di ascolto parrocchiali presenti alla celebrazione del Santo Padre e che al termine, dopo la preghiera dell’Angelus, si sono ritrovati nella vicina chiesa di San Gregorio VII per il pranzo e un incontro conviviale organizzato dalla comunità parrocchiale.

«Il dolore di oggi è la speranza di domani» ha detto il Papa durante l’omelia. «Da una parte, sono evocate tutte le dolorose contraddizioni in cui la realtà umana rimane immersa in ogni tempo; dall’altra parte, c’è il futuro di salvezza che la attende, cioè l’incontro con il Signore che viene, per liberarci da ogni male».
Oggi – osserva il Papa – «siamo dentro a una storia segnata da tribolazioni, violenze, sofferenze e ingiustizie, in attesa di una liberazione che sembra non arrivare mai. Soprattutto, a esserne feriti, oppressi e talvolta schiacciati sono i poveri, gli anelli più fragili della catena. La Giornata Mondiale dei Poveri ci chiede di non voltarci dall’altra parte, di non aver paura a guardare da vicino la sofferenza dei più deboli».

I poveri – ricorda Francesco – sono «vittime dell’ingiustizia e della disuguaglianza di una società dello scarto, che corre veloce senza vederli e li abbandona senza scrupoli al loro destino. Dall’altra parte, però, c’è la speranza di domani. Gesù vuole aprirci alla speranza, strapparci dall’angoscia e dalla paura dinanzi al dolore del mondo. Per questo afferma che, proprio mentre il sole si oscura e tutto sembra precipitare, Egli si fa vicino. Nel gemito della nostra storia dolorosa, c’è un futuro di salvezza che inizia a germogliare. La speranza di domani fiorisce nel dolore di oggi».

«La salvezza di Dio – prosegue il Papa – non è solo una promessa dell’aldilà, ma cresce già ora dentro la nostra storia ferita, si fa strada tra le oppressioni e le ingiustizie del mondo. Proprio in mezzo al pianto dei poveri, il Regno di Dio sboccia come le tenere foglie di un albero e conduce la storia alla meta, all’incontro finale con il Signore, il Re dell’Universo che ci libererà in modo definitivo».
Dobbiamo «nutrire la speranza di domani risanando il dolore di oggi. La speranza cristiana non è l’ottimismo beato, adolescente, di chi spera che le cose cambino e nel frattempo continua a farsi la sua vita, ma è costruire ogni giorno, con gesti concreti, il Regno dell’amore, della giustizia e della fraternità che Gesù ha inaugurato. A noi è chiesto questo: di essere, tra le quotidiane rovine del mondo, instancabili costruttori di speranza; di essere testimoni di compassione mentre attorno regna la distrazione; di essere presenze attente nell’indifferenza diffusa, noi non potremo mai fare del bene senza passare per la compassione».

«Se la nostra speranza – conclude Papa Francesco – non si traduce in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune, le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita, le loro attese non potranno rifiorire. Specialmente a noi cristiani, tocca organizzare la speranza, tradurla in vita concreta ogni giorno, nei rapporti umani, nell’impegno sociale e politico. La parola che fa germogliare la speranza nel mondo e solleva il dolore dei poveri: la tenerezza. Sta a noi superare la chiusura, la rigidità interiore, la tentazione dei restaurazionisti che vogliono una Chiesa rigida, sta a noi superare la tentazione di occuparci solo dei nostri problemi, per intenerirci dinanzi ai drammi del mondo, per compatire il dolore. Gesù ci vuole convertitori di bene».