Un anno di accoglienza a Roma dei rifugiati ucraini

Visita profughi Ucraina palazzo lateranenseSono 110 le persone oggi ospitate da Caritas attraverso l’accoglienza diffusa in 29 strutture, tra parrocchie, istituti e famiglie.

Un anno fa Roma apriva le sue porte ai rifugiati ucraini scappati dal dramma della guerra. “Un’accoglienza che da una parte ci ha consentito di sperimentare il valore della fratellanza universale nella precarietà, dall’altra la capacità di reazione di queste persone è stata un grande insegnamento”. Così il direttore Giustino Trincia in un’intervista a RomaSette ha commentato i dati e le storie di accoglienza che Caritas Roma ha messo in atto, in favore del popolo ucraino.

Attualmente sono 110 (il 60% bambini) i profughi ospitati dalla Caritas diocesana attraverso quattro canali diversi: il centro di accoglienza straordinaria, il circuito di Protezione civile, il Sistema accoglienza integrazione del Centro Santa Bakhita e il progetto di Caritas italiana e Mediaset. Complessivamente sono 29 le strutture, tra parrocchie, istituti religiosi e famiglie, che accolgono da un minimo di tre a un massimo di 13 persone.

Anche le famiglie che non avevano la possibilità di ospitare si sono rese disponibili ad accompagnare i profughi per espletare pratiche burocratiche o per l’inserimento scolastico dei minori.

I volontari Caritas, seppur abituati ad accogliere chi fugge da situazioni di pericolo – vedi gli afghani giunti in Italia in seguito alla presa di potere da parte dei talebani – questa volta hanno dovuto imparare un nuovo modo di approcciarsi. «I profughi afghani sono giunti in Italia per rimanerci – ha raccontato al giornale il direttore Trincia – . La peculiarità dei cittadini ucraini è quella di voler tornare nel proprio Paese appena finisce la guerra». Avendo un permesso di soggiorno di protezione temporanea vanno e tornano dall’Ucraina e in questi mesi c’è anche stata una rotazione nelle accoglienze. «All’inizio – ha affermato ancora – non abbiamo avuto molte richieste di corsi di italiano quanto di connessioni internet, per permettere ai bambini di continuare a seguire le lezioni online con i loro insegnanti».

Lorenzo Chialastri, responsabile dell’Area immigrati e rifugiati, ha rimarcato che «la maggior parte fatica a imparare l’italiano proprio perché ha nel cuore la volontà di tornare quanto prima a casa. Non vogliono restare qua, svolgono piccoli lavori ma con l’idea precisa che si tratta di un impiego temporaneo. Non investono per un futuro in Italia». Chi proviene da città rase al suolo dai bombardamenti, chi non ha una casa dove tornare si sta pian piano inserendo ma «tutti gli altri – ha proseguito – vivono in un limbo. È un’accoglienza con tante incognite e nessuna risposta anche perché la speranza di tutti era che il conflitto durasse pochi mesi».

C’è poi il contrasto tra «bambini che stringono legami di amicizia con i coetanei italiani, mamme che vogliono rientrare in Ucraina e adolescenti che hanno grosse difficoltà a inserirsi a scuola o in attività sociali perché hanno gli amici nel loro Paese». Il permesso di soggiorno scade a dicembre ma Caritas, prefettura e Protezione civile stanno già valutando cosa fare. «In questo quadro di grande incertezza – ha concluso il direttore Trincia – sarà importante valutare caso per caso per decidere il da farsi».

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