Quando le ferite sono invisibili

Presentato il libro curato da servizio medico-psico-sociale del progetto “Ferite Invisibili” promosso dalla Caritas di Roma

cover ferite
La scheda del volume

«Dietro le informazioni, le riflessioni e le indicazioni operative ci sono le storie di vita, di vite profondamente offese dall’azione brutale di esseri umani verso altri esseri umani. Quello che qui leggiamo è la forma con la quale si vuole divulgare la conoscenza teorica e operativa di ciò che avviene in un incontro curativo amorevole e competente, rivolto a chi è scappato dal proprio Paese perché in pericolo estremo. Una fuga a volte meditata, a volte repentina, magari con un salto dalla finestra di casa in piena notte, per non tornarci più, se non nei sogni, spesso negli incubi». Così monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas di Roma, ha presentato oggi il libro “Quando le ferite sono invisibili. Vittime di tortura e di violenza: strategie di cura” nel seminario che si è svolto presso le Case famiglia di Villa Glori, struttura della Caritas per malati di Aids. Una giornata di studio per oltre 300 partecipanti – medici, personale sanitario, operatori sociali – è stata l’occasione per presentare il rapporto sul progetto “Ferite Invisibili” che la Caritas di Roma ha attivato nel 2005 per curare migranti vittime di violenze intenzionali.

Il progetto Ferite Invisibili
In nove anni di attività (novembre 2005 – ottobre 2014) l’equipe di medici, psicologi e mediatori del progetto Ferite Invisibili ha preso in carico 254 pazienti (204 uomini e 50 donne) e sono stati effettuati 3.630 colloqui psicoterapeutici con una media di 14 visite/paziente a sottolineare la complessità e la delicatezza dell’approccio terapeutico. Nell’ultimo anno sono stati seguiti 36 pazienti, di cui 21 nuovi, ed effettuate 400 sedute terapeutiche.
Fino al 2010 i pazienti provenivano soprattutto dall’Afghanistan, seguiti dalla Guinea, Nigeria e Eritrea. Dal 2011 al 2013 sono stati prevalenti coloro che provenivano da Costa D’Avorio, seguiti da Afghanistan, Camerun e Senegal. Attualmente prevalgono le persone provenienti dall’Afghanistan, Mali e Senegal.
«Il gruppo di lavoro di “Ferite Invisibili” – ha detto monsignor Feroci – ha negli anni incontrato persone che hanno narrato le loro storie attraverso le parole, le lacrime, i silenzi, il disagio psichico e psico-fisico, e che sono parte viva di questo testo, perché con il loro coraggio e la loro straordinaria forza sono qui tra queste righe». Per il direttore Caritas «lo studio, le ricerche e l’impegno di medici e personale sanitario che partecipa al progetto, sono qui raccolti e condivisi in un’ottica di promozione della dignità di ognuno, e del riconoscimento del diritto a ricevere cure adeguate nell’ottica dell’accoglienza e del rispetto».
Il testo presenta le difficili esperienze, i bisogni di salute e le possibilità di cura dei migranti vittime di violenze intenzionali. Spesso sono profughi che arrivano in Italia da diversi luoghi di crisi geopolitica del mondo. Molti di loro hanno sofferto violenze o torture, cui spesso si sono accompagnate esperienze traumatiche legate ai difficili percorsi migratori.
«Noi abbiamo scelto di lavorare nelle pieghe di una sofferenza spesso nascosta – dice Salvatore Geraci, referente del progetto e responsabile dell’Area sanitaria della Caritas -, per affermare che nessuno deve essere escluso dai percorsi di accoglienza e dignità, che la salute di ciascuno è salute di tutti. Quest’ultimo anno abbiamo assistito a tanti sbarchi di persone in fuga, è stata data enfasi eccessiva ai rischi correlati alla presunta presenza di malattie infettive, oggi vogliamo invece sottolineare l’importanza di una accoglienza ed una attenzione anche nell’ambito psico sociale come premessa per un miglior futuro per noi tutti».

La ricerca
Secondo la letteratura scientifica internazionale e le indagini condotte dai ricercatori della Caritas di Roma, la presenza del Disturbo da Stress Post-Traumatico (PTSD) è presente tra il 9% e il 50% nei rifugiati e richiedenti asilo: questa ampia variabilità dipende dal tipo di campione studiato (la prevalenza è molto più alta se le persone sono detenute in posti come i CIE) attestandosi intorno all’11% ma è anche presente nel 10% in quella parte di migranti non selezionati in base allo status e che vivono in condizione di fragilità sociale e giuridica-amministrativa. Su quest’ultima popolazione di migranti, emerge che in sei casi su dieci vi è una presenza di gravi traumi pre-migratori in cui gli eventi più frequenti sono: “deprivazione materiale”, “scomparsa, morte o ferimento di persone care”, “lesioni corporee”, “condizioni di guerra”, “essere testimone di violenze sugli altri”, “tortura” e “isolamento forzato e coercizione”. Allo stesso tempo, nel 73% dei casi, si riscontrano gravi difficoltà di vita post-migratorie con le problematiche più frequenti che risultano: “mancanza del permesso di lavoro”, “povertà”, “non esser riusciti a trovare lavoro”, “impossibilità di tornare a casa in caso di emergenza”, “preoccupazione per la famiglia rimasta a casa”.
Il PTSD si presenta nei migranti con quadri psicopatologici associati ad ansia, depressione e somatizzazioni. È dimostrato, inoltre, che le persone che ricevono un peggiore livello di accoglienza (visti temporanei piuttosto che a tempo indeterminato; essere rinchiusi in centri come i CIE piuttosto che accolti adeguatamente) a due anni di distanza hanno più difficoltà a integrarsi nella società ospite e maggiori livelli di disagio con maggiori costi di assistenza.
Eppure c’è ottimismo tra i terapeuti e ricercatori. «Oggi – sostiene il Marco Mazzetti, psichiatra e coordinatore scientifico del Progetto – sappiamo che i traumi sono tragedie, ma non solo tragedie. La letteratura scientifica e la nostra esperienza clinica ci hanno insegnato che sono anche occasioni di crescita personale, esistenziale: parliamo di crescita post-traumatica. Oggi ci avviciniamo alle persone traumatizzate con speranza, con la convinzione di essere di fronte a un’occasione da cogliere, che gioverà al nostro assistito e alla sua salute, e alla nostra società, che avrà un soggetto di valore in più su cui contare».

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