Sembrava un giorno come un altro, martedì scorso: il telefono, le mail da leggere, da scrivere e da inoltrare ai colleghi, gli appuntamenti; insomma, tutte quelle cose che scandiscono la nostra quotidianità.
Non so, sarà stato il cielo limpido, l’aria di Roma così fresca in questo fine novembre, che quasi sentivo che dovesse accadere qualcosa di bello. Verso mezzogiorno, mentre sono al telefono, bussa timidamente alla porta, e si affaccia, una signora anziana, dimessa, avrà avuto forse ottanta anni, e al mio cenno di accomodarsi vedo che procede faticosamente, appoggiandosi ad una stampella, finché, lentamente, si siede sulla poltroncina di fronte alla mia scrivania. Accenno un saluto, mi scuso con lei, intanto termino la telefonata.
Finalmente riesco a dedicarmi a lei, esco da dietro la scrivania e mi avvicino a lei, mi chino quasi fino al suo volto, come a voler proteggere la sua riservatezza, pensando che potesse essere una persona bisognosa di aiuto. E infatti mi rivolgo a lei chiedendole come potessi aiutarla. Non mi ero accorta che, nel frattempo, la signora aveva appoggiato trenta euro sulla scrivania. Mi dice che non è venuta per chiedere aiuto, ma per dare un aiuto, e mi indica le due banconote sul tavolo.
Mi racconta di essere partita da un piccolo paese della provincia di Viterbo, quando era ancora buio, e di essere arrivata alla Caritas dopo diverse ore passate sui mezzi pubblici, per assolvere ad una penitenza che il suo parroco le aveva dato in confessione: fare una piccola donazione, secondo le sue possibilità.
Nell’era digitale, niente di più facile: basta andare sul sito della Caritas, ci sono tutte le indicazioni per il bonifico bancario, il conto corrente postale ecc. Ma per la signora è stato più facile partire prima dell’alba, in questa mattinata gelida, che navigare su internet. Il dono ha più valore quando comporta anche un sacrificio: donare stando seduti di fronte ad un computer non è la stessa cosa che affrontare ad ottanta anni, con evidenti problemi di salute, diverse ore di viaggio.
Mi chiedo quanto quei trenta euro abbiano inciso sulla sua pensione; se privandosi di quella somma la signora abbia rinunciato a tanto o poco del suo necessario. Il pensiero va ai Vangeli di Marco e di Luca , quando Gesù dice ai discepoli che l’obolo della povera vedova ha più valore di tutti i denari donati dai ricchi, perché questi si privano solo del superfluo.
Prendo le banconote e le chiedo il nome ed il cognome, per compilare e rilasciare la ricevuta. Mi dice di scrivere “Giuliana”. Insisto per il cognome, è la prassi; ma anche lei insiste: “scriva solo Giuliana”. Vuole sapere il mio nome, glielo dico, e lei mi risponde che è bellissimo. Penso che sia un nome comunissimo, ma mi tengo questo pensiero, e la ringrazio. Ci salutiamo con un bacio sulla guancia, poi le mi prende le mani e me le bacia di nuovo.
Quei pochi minuti passati con la signora Giuliana, il racconto del suo viaggio faticoso, la semplicità del suo gesto, hanno occupato la mia mente per tutto il giorno. Riflettevo, a pochi giorni dall’apertura del Giubileo della Misericordia, su quanto noi siamo disposti a sacrificarci, a lavorare su noi stessi, a faticare in questo cammino di redenzione a cui ci chiama Papa Francesco. Nei secoli passati, venire a Roma in pellegrinaggio per il Giubileo era un viaggio faticoso e non privo di pericoli. Si faceva a piedi, o a dorso di mulo. Ho pensato alla signora Giuliana, che martedì ha compiuto il suo pellegrinaggio a Roma, che ha aperto la “porta santa” del suo cuore, e timidamente, così come era entrata, è uscita dal mio ufficio, ma non dai miei pensieri.