Uno dei motivi per cui la pratica del gioco d’azzardo colloca l’Italia al primo posto nella classifica europea e al quarto posto nella classifica mondiale di questo tipo di consumo è che esiste una diffusa sottovalutazione dei rischi che esso comporta.
Del resto, l’attività di sensibilizzazione e prevenzione che da ormai quasi due anni impegna Caritas Roma contro l’azzardo ha permesso di rilevare come la gran parte delle persone associ questo consumo ai casinò e alle sale slot, ma non alle tabaccherie, ai bar, agli uffici postali, ai supermercati e ogni altro esercizio commerciale che abbia licenza di vendere gratta e vinci, accettare scommesse sportive o pronostici su numeri del lotto e superenalotto.
E non è facile argomentare che anche quei tagliandi colorati su cui il marketing ha tanto insistito in questi anni, moltiplicandone le tipologie e raffinandone la capacità di intercettare i consumatori più diversificati, sono pericolosi perché progettati per indurre la reiterazione del comportamento, che è la prima forma di esposizione alla dipendenza.
Non è facile perché l’idea che il gratta e vinci, il bingo, la schedina del superenalotto… siano passatempi innocui, cui dedicarsi occasionalmente perché “uno ogni tanto, che problema può dare?” è comprensibilmente diffusa. E non vi si può certo opporre l’argomento clinico, perché non tutti coloro che si dedicano al gioco d’azzardo sono o diventeranno dipendenti, altrimenti si preparerebbe un disastro, considerato che le stime parlano di 30 milioni di italiani dediti, più o meno occasionalmente, a questo consumo.
Tuttavia c’è altro. Ci sono ragioni che restano confinate nell’ombra, e che pure dimostrano perché spendere denaro nel gioco d’azzardo è un problema, anche a prescindere dal fatto che possa trasformarsi in un comportamento compulsivo.
Anzitutto, è necessario prestare attenzione: nella gran parte dei casi, infatti, queste ragioni restano nell’ombra perché la politica e la stampa tendono a rivestirle di tecnicismi, tali per cui alla gran parte delle persone appaiono distanti e di scarso interesse. Basta pensare a un argomento di questi giorni, che non per niente ha lasciato traccia soprattutto in testate di settore e molto meno nei quotidiani a tiratura nazionale.
Per l’ennesima volta è slittata la Conferenza Stato-Regioni-Enti locali che, come previsto dalla Legge di Stabilità 2016, dovrebbe ratificare la riorganizzazione del sistema della vendita e della rivendita del gioco d’azzardo legale nei territori. È da maggio che si attende una decisione congiunta a riguardo, e proprio il continuo rinvio suggerisce la rilevanza e complessità di ciò che è in ballo.
Nell’ultimo anno e mezzo si sono moltiplicate in tutta Italia le leggi regionali e le ordinanze emesse da amministrazioni comunali per limitare la diffusione dell’offerta del gioco d’azzardo e affrontare il gioco d’azzardo patologico. Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Puglia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Veneto, Campania, Alto Adige: ognuna di queste Regioni, in modo più o meno articolato, ha predisposto linee d’azione in materie. Inoltre, centinaia di Comuni, dai più piccoli a quelli delle città metropolitane, hanno elaborato e approvato misure volte a contrastare la diffusione di questo consumo, prima fra tutte il cosiddetto distanziometro, ovvero l’obbligo di una certa distanza – solitamente tra i 300 e i 500 metri – tra esercizi commerciali con licenza di vendita del gioco d’azzardo e luoghi considerati sensibili, come scuole, ospedali, parrocchie.
Perché lo hanno fatto? Perché i costi socio-sanitari riconducibili al gioco d’azzardo che si scaricano sui territori sono già ora tali da richiedere un’azione di contrasto.
Eppure, se fosse per le politiche nazionali, il gioco d’azzardo continuerebbe a prosperare indisturbato, perché le entrate erariali che garantisce – circa 8 miliardi di euro all’anno – sono strutturalmente necessarie alla finanza pubblica. Si è così consumata una frattura tra Stato e Enti locali, e su questa frattura, come è facile intuire, si inseriscono prontamente gli interessi dell’industria del gioco d’azzardo che, potendo contare su ingenti risorse e avvocati, reagisce a colpi di ricorsi ai cosiddetti TAR-tribunali amministrativi regionali contro le ordinanze comunali per delegittimarle e neutralizzarne i contenuti.
Nelle cronache locali capita spesso di imbattersi in una notizia di questo tipo ma, come si diceva sopra, sono notizie apparentemente tecniche, rispetto alle quali si passa oltre.
Del resto – altra notizia di appena una settimana fa – che interesse può smuovere il fatto che la Federazione Nazionale dei Tabaccai abbia annunciato che denuncerà alla Corte dei Conti i sindaci che hanno dotato le proprie città di ordinanze anti-azzardo, adducendo come motivi i danni che queste ordinanze procurerebbero alla categoria?
Il punto è che l’indifferenza di chi ritiene che il gioco d’azzardo dei “gratta e vinci”, del superenalotto e simili sia un passatempo innocuo e un tema di poco conto, in definitiva fa sponda a quanti antepongono il proprio vantaggio economico al benessere dei cittadini e alla sostenibilità del welfare, mentre questa questa commistione di interessi e indifferenza rischia di travolgere e annullare gli sforzi di quanti esercitano con coerenza la propria responsabilità politica.
In questo senso, ancora una volta, non può non levarsi il richiamo ad aprire gli occhi, a rendersi conto che il danno arrecato dal gioco d’azzardo non si misura solo nella disposizione con cui, come singoli, ci si accosta a questo consumo, magari occasionalmente, ma in un orizzonte più ampio. È un tema di responsabilità comune, e anche di intelligenza nel senso più profondo del termine: non fermarsi alla superficie, ma comprendere in profondità ciò che ci circonda, per non esserne inconsapevolmente asserviti.