Il 12 ottobre la Chiesa di Roma ricorderà don Luigi Di Liegro, primo direttore della Caritas diocesana, nel ventennale della sua morte. Sarà l’arcivescovo Angelo De Donatis, vicario del Papa per la diocesi di Roma, a celebrare l’Eucaristia. Don Luigi è per molti sacerdoti e animatori della carità una presenza viva, che attraverso la testimonianza e le numerose opere che ci ha lasciato indirizza ancora il nostro agire e ci è di conforto. Nel suo sacerdozio ha saputo coniugare la missione evangelica alle spinte di giustizia che arrivavano dalla società, anche da quella laica.
Percezioni frutto della riflessione e dell’esperienza in una città in cui la divisione sociale, l’esclusione e le disuguaglianze riguardavano un numero sempre maggiore di persone. Egli incarnò lo spirito della Chiesa conciliare, con profonda religiosità e una visione pastorale attenta ai segni dei tempi – le contraddizioni delle povertà in un Paese ricco e in pieno boom economico –, divenendo un punto di riferimento per tanti che operavano nel sociale. Riuscì ad aggregare intorno a sé sacerdoti, studiosi, operatori, sindacalisti e politici di varie estrazioni culturali e fedi religiose per condurre insieme importanti battaglie per i diritti civili. Mai come ai nostri giorni, la memoria di don Luigi deve essere di stimolo alle comunità per rinnovare la scelta in Gesù Cristo attraverso i poveri. A Roma abbiamo vissuto settimane difficili perché i problemi della città si stanno trasformando in conflitti per la rivendicazione di diritti e interessi legittimi senza che vi sia una condivisa idea di comunità. La mancanza di alloggi e le occupazioni di immobili; l’accoglienza dei rifugiati e le difficoltà di integrazione degli immigrati; le popolazioni rom ancora più escluse ed emarginate; l’aumento delle povertà estreme; la piaga del gioco d’azzardo in costante crescita e che porta alla rovina moltissimi nuclei familiari: sono solo alcune delle piaghe della nostra città e per le quali mancano politiche adeguate. Le istituzioni si dimostrano assenti ed incompetenti, motivate più a perpetuare il loro potere economico che a risolvere i problemi di chi soffre. Come cittadini viviamo questo con impotenza e sfiducia, sentimenti che talvolta sfociano in rabbia e rivendicazioni.
Questo anniversario allora non può essere solo una celebrazione, per la nostra Chiesa deve invece rappresentare un memoriale di quello che don Luigi ci ha insegnato. Per lui era fondamentale la conversione, il cambiamento di mentalità, lo stile di vita solidale. Le opere realizzate – mense, ostelli, centri di accoglienza, ambulatori –, oltre che un aiuto per chi soffriva, erano l’occasione per ognuno di occuparsi degli altri e costruire una società migliore “sporcandosi le mani”. Don Luigi soleva dire che uomini e cristiani si diventa ogni giorno con la presa in carico di coloro che hanno bisogno. In un incontro con i giovani, poco prima della sua morte, disse: «Gesù Cristo, incarnandosi nella storia umana, ha voluto manifestarsi come l’uomo perfetto: non perché si è messo al di sopra di tutti, ma perché è entrato in tutti i nostri problemi, le nostre sofferenze, le nostre mancanze, le nostre emarginazioni, le nostre esclusioni. Lui stesso è stato emarginato, escluso, ha vissuto la povertà. Si è fatto il nostro esempio di perfezione».
Della sua vita, del suo pensiero, ci resta questo insegnamento che ha saputo offrire attraverso le opere concrete.
Facciamone tesoro.