La testimonianza di un’operatrice Caritas dopo la visita di una classe di bambini all’Ostello
È martedì pomeriggio, un gruppo di bambini di 11 anni della scuola media Maria Ausiliatrice entra dal cancello, vogliono fare una visita dell’Ostello e della mensa con la loro insegnante e Suor Ilaria.
Sono felice di accompagnarli, anche se da qualche giorno mi domando « Come spiego a dei bambini cosa facciamo qui? Come posso far capire le difficoltà dei nostri ospiti, senza entrare troppo nel dettaglio e rischiare di essere troppo “cruda”?» e penso a qualcosa per rendere la visita interattiva e chiara.
Appena arrivano sono spontanei, si guardano intorno curiosi, ma allo stesso tempo sono a loro agio, tra gli ospiti rimasti in Ostello stamattina perché non stanno molto bene, e gli operatori indaffarati come sempre.
Iniziamo: dove siamo, cos’è la Caritas, quante persone accogliamo ogni giorno, dove dormono….
Mentre spiego loro mi fanno mille domande, procediamo per alzata di mano perché si parlano uno sopra l’altro, ma sono poi attentissimi alla risposta.
Vogliono sapere quanti posti abbiamo e se riusciamo ad accogliere tutte le persone che chiedono un posto per dormire. La risposta li delude un po’, gli sarebbe piaciuto che dicessi che certo, riusciamo ad aiutare tutti e risolvere i problemi di ognuno, ma la realtà è un’altra, cerchiamo di fare del nostro meglio, con i mezzi che abbiamo, a volte ci si riesce, a volte no.
Andiamo a fare il giro dell’Ostello: le camere colorate, un po’ di disordine, le tante docce… sono incuriositi, pensiamo insieme al disordine che c’è nelle nostre camerette, e i conti tornano, anche qui è come a casa nostra, solo più grande.
Mi chiedono se si è mai sentito male qualcuno, se capita che si portino armi dentro la struttura, e se è mai successo che qualcuno perdesse la vita qui. Sì, è capitato, ma non a causa di armi. Del resto, è come a casa nostra, se qualcuno si sente male si chiama il dottore, se qualcuno si comporta male gli si ricordano le regole da rispettare.
Passiamo alla Mensa: quante persone vengono a mangiare qui? Circa 350 ogni sera, dico loro.
Contano velocemente le sedie colorate: «non ci stanno tutte queste persone!» Certo, non vengono tutte nello stesso momento, ma durante il pomeriggio, fino alla chiusura.
La linea self service è come da loro a scuola, sanno come funziona. E se a qualcuno non piace qualche portata? O se è intollerante? O se invece è di un’altra cultura, cosa può mangiare?
Domanda molto interessante, ragioniamo insieme: cerchiamo di andare incontro a tutti, offrendo alternative per chi ha preferenze o culture diverse, nello spirito di tolleranza e condivisione del Vangelo.
A proposito, vedono la targa e la foto di Papa Benedetto XVI che è affissa a mensa, e si stupiscono che il Papa sia venuto proprio qui.
Leggiamo insieme le frasi lungo le pareti e vediamo se sappiamo chi le ha dette: “Una città in cui un solo uomo soffre meno è una città migliore” di don Luigi di Liegro, il fondatore della Caritas di Roma e dell’Ostello.
“…L’ avrete fatto a me…” questa è più facile da indovinare, è di Gesù, lo sanno.
Sapete cosa dice il Papa della Caritas? Che è la carezza della Chiesa ai poveri.
Il tempo è finito, le domande sarebbero ancora tante, ma loro devono andare via e tra poco l’Ostello aprirà agli ospiti.
Prima di salutarci gli mostro il ballatoio e le foto della mostra permanente. Guardando i cancelli gli chiedo: «Perché secondo voi questo posto è così vicino alla strada, con dei cancelli sì, ma che sembrano quasi grandi finestre che permettono di vedere tutto quello che succede all’interno e all’esterno?».
Perché cosi chi ha bisogno sa che qui può chiedere aiuto, rispondono.
Certo, e anche per ricordare a questa città che ci sono tantissime persone che hanno bisogno di assistenza, e non possiamo voltarci dall’altra parte, ma dobbiamo rispondere alle loro richieste.
Ci salutiamo, li ringrazio per essere stati così attenti, e mi assicurano che racconteranno tutto ai loro compagni che non sono potuti venire e alle loro famiglie.
La loro curiosità lascia una brezza di buonumore in Ostello, e spero che, una volta tornati a casa, anche loro possano essere una Carezza per il loro prossimo.