L’ipotesi di un servizio civile obbligatorio in cambio del reddito di cittadinanza è il segnale che il disfacimento del tessuto sociale di un paese non è una calamità naturale ma il preciso disegno di trasformare, da chi ci governa, le motivazioni e le opportunità che lo renderebbero capace di dare anima al tessuto sociale in una becera e mera merce di scambio dal vago sapore elettorale.
L‘utilizzo delle risorse destinate alla gestione del bene comune attraverso la scelta libera di chi vuole svolgere il suo servizio civile, potrebbero essere utilizzate per sostenere il reddito di cittadinanza a giovani che ne facciano richiesta, ingabbiando il ciclo della povertà in un circuito senza prospettive di liberazione, intrappolato dalle dinamiche del più inutile assistenzialismo.
I giovani motivati saranno costretti a rivedere le loro aspettative e le loro speranze depauperando il paese di una visione ideale di cui invece ha bisogno come si ha bisogno dell’aria.
Niente di casuale in tutto questo e forse neanche solo un semplice artificio economico per far quadrare i conti. L’attacco alle Ong, la compressione dei servizi di accoglienza, il tentativo poi rientrato di penalizzare il mondo del non profit, il servizio civile obbligatorio in funzione utilitaristica, decreti che tendono a marginalizzare la diversità e la povertà in nome di un paradossale decoro urbano, le modalità e i linguaggi con cui si sta delegittimando il volontariato di cui la vicenda del rapimento di Silvia Romano è simbolo, gli attacchi non solo mediatici e spesso istituzionali alle iniziative di solidarietà definite con sarcasmo “buoniste”, sono precisi segnali della riduzione a comparsa fastidiosa con cui viene considerata una cultura dell’accoglienza e dell’inclusione.
Ovvio che il gioco sta proprio nel mantenere una società schiacciata sulla paura e di conseguenza depotenziare e delegittimare chi questa paura cerca di scalfirla con una presenza costante e una progettualità liberatrice.
Il solo pensare di ridurre l’impegno e l’esperienza del servizio civile a un obbligo per chi ha difficoltà economiche rivela un modo di vedere la società costruita e pensata per opprimere ogni istanza di apertura gratuita all’altro, mercificandola e contrattandola.
L’argomentare tutto questo in chiave moralistica non è in prospettiva etica ma è funzionale a tarpare le ali a un processo di integrazione che cerca di opporsi all’elemosina come unica modalità di relazione tra chi è costretto a pagare i prezzi delle disuguaglianze e chi li genera.
Smontare questa unica modalità di relazione tra società civile e istituzione significa rivendicare nuovi rapporti di mediazione tra questi soggetti sul terreno dei diritti. Il servizio civile volontario lo può fare; quello legato alla necessità di reperire risorse no. Depauperato della dimensione di libertà resterà accartocciato sulla costrizione e non si evolverà in quella che dovrebbe essere una scelta consapevole, coinvolgente e liberante.
Oliviero Bettinelli
Area Pace e Mondialità