Anziani, la pandemia ha evidenziato le nostre assenze

Da tempo ormai come Caritas Roma abbiamo scelto, proposto e orientato progetti rivolti alle condizioni di vita delle persone anziane. Da 6 anni con il progetto Quartieri Solidali abbiamo scelto di coinvolgere ancora di più le comunità locali, a partire dalle parrocchie per far sì che le persone si sentano parte piena del proprio territorio e della propria gente.

Nei nostri progetti proponiamo una cura ma anche un’attenzione alle persone fragili e non. Perché la fragilità non può essere misurata o valutata secondo parametri scientifici. Abbiamo, nel corso del tempo, incontrato tante storie e tante persone che avevano bisogno, anche in maniera affamata, di relazione, di senso e di una presenza che le riconoscesse in vita. Con dignità e fragilità insieme. Curare questo progetto insieme ad un sostanzioso numero di persone, non significava unicamente risolvere problemi, ma riconsegnare alla persona la sua importanza e il suo valore.

Vivere accanto a queste persone ci ha consentito di osservare, di ascoltare pezzi di storie di vita che ci hanno meravigliato e commosso al tempo stesso. Ma ci consente anche di denunciare le ingiustizie che vediamo e che accompagniamo, di riconoscerle e di comprenderle sempre meno.

La pandemia ha evidenziato quindi le nostre assenze. Non le ha generate.

Ben prima di questo abbiamo conosciuto anziani confinati e segregati ai margini di una società e di un tempo troppo veloce e a numero chiuso. Esonerati da trattamenti sanitari perché considerati “in linea con l’età”; scartati dalla possibilità di percorrere strade sicure senza un accompagnatore. Esclusi da privilegi di cui noi stessi non riusciamo a fare caso in quanto considerati di normale abitudine.

Per un certo tempo, durante questa emergenza, si è parlato di dover scegliere chi avrebbe potuto avere accesso alle cure e chi no. E tutti quanti noi abbiamo capito chi sarebbe rimasto fuori. Questa scelta, ai limiti dell’inverosimile, conserva una visione darwiniana e utilitarista al tempo stesso, ma purtroppo avviene ogni giorno, anche nelle mura domestiche.

Per questo motivo, ci sentiamo oggi in dovere, non solo di denunciare, ma di esserci, fianco a fianco in maniera ancora più incisiva e visibile. Di creare e di osare modi nuovi su schemi vecchi. Questo momento unico ha messo in luce le nostre debolezze, spesso tradotte in disuguaglianze. Un momento che ci rende ugualmente forti e ugualmente fragili. Il contagio, ci ha costretto a comprendere che siamo interdipendenti adesso molto più che prima. Io sono minaccia o riparo per qualcun altro.

 Forse, non ci siamo mai protetti così tanto.

E in questo scenario non è possibile non osservare quanto le comunità locali abbiano fatto la differenza. I sistemi di protezione che si sono auto generati sono stati agli occhi di tutti straordinari. Nella tempesta improvvisa abbiamo risposto e rispondiamo, nonostante le paure, non con la rigidità di una quercia, ma piegandoci come salici, per affrontarla, per proteggerci e anche, finalmente, per proteggere. Una tempesta che ci ha fatto scoprire territori e comunità mai viste prime. Persone che si sono rivolte alle nostre parrocchie ma che mai l’avrebbero fatto. Mondi dis-integrati ai quali mai abbiamo fatto caso.

Se tutto questo non si perdesse, se riuscissimo a trovare un modo semplice che consentisse ad ognuno di mettere un pezzetto di quello che può per contribuire alla costruzione di un futuro compassionevole, sensibile e attento. Se ci ricordassimo di questo forte desiderio di partecipazione probabilmente le nostre disuguaglianze svanirebbero così come sono nate.

Ci auguriamo e auguriamo di non tornare alla normalità; perché la normalità non era poi così “giusta”. Ci auguriamo di avere forza e di conservare la speranza di curare le comunità affinché curino; perché ora più che mai abbiamo capito quanto la vera salvezza non è la propria, ma è della comunità.

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