Occhi pieni di storie e un cuore pieno di memorie: il mio anno di “Mi sta a cuore”

«Occhi pieni di storie e un cuore pieno di memorie. Così sono tornata a casa dopo un anno di servizio a Roma. I miei occhi, il mio cuore, il mio volto raccontano e gridano la gioia e la bellezza di un incontro: quello con il Ferrhotel». Il racconto di Federica Baron Cardin, una dei sei giovani che hanno terminato un periodo di servizio nell’ambito del progetto “Mi sta a cuore – Curare il presente per sognare il futuro” promosso in collaborazione con Caritas Italiana.

Occhi pieni di storie e un cuore pieno di memorie. Così sono tornata a casa dopo un anno di servizio a Roma. I miei occhi, il mio cuore, il mio volto raccontano e gridano la gioia e la bellezza di un incontro: quello con il Ferrhotel. E poiché il luogo lo fanno le persone che lo abitano, oggi parlerò delle persone speciali che abitano quel posto.

Ragazzi giovani, capaci di sognare e ogni giorno andare avanti e sperare. Sono scappati dalla guerra, dalla povertà, dal dolore e sono arrivati in Italia alla ricerca di un futuro migliore. Sono stati accolti nel centro di accoglienza “Ferrhotel”. In questo luogo, accompagnati dagli operatori, hanno cominciato a scrivere un nuovo capitolo della loro vita.

Il primo paragrafo è di spazi bianchi: il tempo dell’attesa. Giorni, mesi e in alcuni casi anni, prima di vedere riconosciuta la propria richiesta di asilo. Le speranze e i sogni di una vita così sono messi a dura prova da un’attesa infinita: prima i documenti, poi il contratto di lavoro e la casa. Una serie di peripezie e cavilli burocratici che paiono non terminare mai. Me lo raccontano quando ci vediamo: il mercoledì e il giovedì. I giorni più belli della mia settimana. Aspetto con gioia il momento di quell’incontro, perché quando sono insieme a loro dipingiamo un  mondo nuovo. Ciascuno di quei ragazzi è un colore. Ciascuno di loro una storia di amore. Nel tempo che abitiamo insieme, parliamo, giochiamo a carte e ridiamo; per un attimo forse è possibile dimenticare: dimenticare il dolore di tua madre quando ti ha lasciato andare. È possibile dimenticare gli orrori di una guerra e tutto il sangue che macchia la tua terra. È possibile dimenticare le torture che hai subito, che sulla tua pelle sono come un abito cucito. È possibile dimenticare il terrore che hai provato su quella barca in balia del mare, quando tu non sapevi nuotare.

In quelle ore trascorse insieme immaginiamo orizzonti di umanità e di speranza, un mondo di solidarietà e di fratellanza. Lo costruiamo partendo da piccoli gesti. Ci diamo la mano quando ci salutiamo, come segno di rispetto e di comunione. Impariamo che per comunicare non servono tante parole, alle volte basta lasciar parlare il cuore. Impariamo a stare in compagnia e a godere dei momenti di allegria. Impariamo che siamo tutti fratelli e che tutti possiamo avere dei giorni più tristi e altri più belli. Mi insegnano il valore dell’accoglienza e dell’ospitalità, della gentilezza e della bontà. Mi accorgo che io ho poco da insegnare, ma ho davvero tanto da imparare. Così mi metto in ascolto: delle loro storie, dei loro racconti. Chiedo e faccio domande sulla loro cultura, sulle tradizioni dei loro paesi, sulla cucina tipica, sulla musica…

Rimango sempre affascinata da questi racconti e giorno dopo giorno scopro un pezzettino di quel mondo che ciascun ragazzo porta dentro di sé. Resto stupita da tutta le bellezza che si cela in loro. Da tutte le potenzialità e le capacità che hanno. Torno a casa pensando a tutto questo e pregando che il nostro paese offra loro una possibilità. La possibilità di rinascere e di ricominciare, la possibilità di studiare e di lavorare, di costruirsi un futuro migliore. Alle volte resto delusa, vedendo come questi ragazzi si scontrano con un sistema e una società incapace di cogliere il loro potenziale, incapace di riconoscere la loro dignità e il loro valore.

Eppure sono loro gli artigiani del domani, coloro che plasmeranno il mondo con le loro giovani mani. Sono loro il volto della vera Umanità. Un’Umanità ferita dalla guerra, dalla povertà, dal dolore, eppure un’Umanità che ha il volto della Carità e dell’Amore. Un’Umanità capace di risorgere e di sperare, di risollevarsi da terra e ricominciare a camminare. Capace di accogliere e di donare, senza mai smettere di sorridere e di amare. In questo angolo di Umanità mi sono ritrovata, mi sono sentita profondamente accolta e amata. È così che il Ferrhotel è diventato casa anche per me.

Federica Baron Cardin
Progetto Mi sta a cuore