Editoriale. Giubileo e accoglienza diffusa

Nel programma pastorale che verrà presentato nei prossimi giorni è scritto: “Uno dei frutti buoni, che auspichiamo di raccogliere al termine di quest’anno, è quello di poterci riconoscere come comunità capace di valorizzare i suoi membri sofferenti o marginali. Se scopriremo di averli ascoltati senza pregiudizio e averli accompagnati nel loro cammino senza sostituirci a loro, di averli sostenuti nel prendere parola, nel liberarsi dai gioghi che oggi li opprimono, nell’esigere e ottenere i loro diritti di cittadinanza; se essi sapranno di avere capacità da mettere a servizio della comunità, e noi constateremo di aver ricevuto qualcosa da loro, allora davvero potremo condividere la gioia di ritrovarci una comunità più ricca e fraterna.”

Nell’anno del giubileo non basta sostenere nelle sue necessità chi è nel bisogno, comandamento sempre valido e urgente. Nella Bibbia questo è un tempo speciale, in cui alle persone impoverite si azzerano i debiti, si restituiscono la terra e la libertà perdute. Così nel popolo torna a manifestarsi quell’equità, a cui Dio lo ha educato nel deserto, attraverso il dono della manna.

In continuità con questa storia, ai nostri giorni la Chiesa di Gesù è chiamata ad evangelizzare il valore di ogni essere umano, prezioso agli occhi di Dio, con un agire liberante, che cerca il protagonismo degli esclusi e possibilità concrete di viverlo.

Una mancanza che ferisce molto la dignità umana è quella della casa. Solo a casa abitiamo uno spazio nostro, riprendiamo energie, coltiviamo le relazioni più importanti, teniamo le nostre cose. Senza una casa viviamo una precarietà, che ci mina profondamente. La casa non è solo un bene economico. È fondamentale per il vivere umano.

Tra i segni che può offrire nell’anno del giubileo, la Chiesa di Roma prende in considerazione anche il sostegno ai percorsi di riscatto delle persone che sono senza casa. L’accoglienza diretta è una delle forme possibili di questo sostegno, alla portata di persone singole, famiglie, comunità di vita consacrata, parrocchie. 

In un’accoglienza diretta la persona o la famiglia che la riceve trova:

  • tempo per riprendere le forze e ritrovare se stessa in un ambiente rassicurante;
  • tempo per imparare la lingua per comunicare;
  • tempo per portare a termine il processo di riconoscimento di protezione internazionale;
  • tempo per curare la sua salute o vedere riconosciuta le sue disabilità;
  • tempo per formarsi, se necessario, e trovare un lavoro regolare, che possa dare un sostentamento sufficiente;
  • tempo per trovare chi sia disposto a darle fiducia con un contratto di affitto;
  • tempo per sentirsi riconosciuta parte di una comunità, capace di contribuire al suo benessere.

La comunità che ospita non è sola, ma sostenuta da persone che hanno già esperienza. Essa impara ad offrire una cura che non lega a sé le persone, ma favorisce in esse la libertà e la capacità di camminare con le loro gambe, secondo le possibilità. Si scopre benedetta da relazioni che l’hanno resa più ricca e fraterna.

Don Paolo Salvini
Vicedirettore Caritas di Roma

Scopri il progetto di accoglienza diffusa di Caritas Roma 

Immagine di freepik

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