A pace e acqua
Perché io ho avuto sete e mi avete dato da bere
Mt 25,35
«…l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo…»
(dal preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani proclamata il 10 dicembre 1948 dalle Nazioni Unite)
La libertà dal bisogno è ancora un’aspirazione. Il soddisfacimento del bisogno basilare di ogni individuo, mangiare e bere, non è un diritto per oltre 700 milioni di persone.
Secondo il comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, il contenuto fondamentale del diritto al cibo adeguato implica la disponibilità di cibo in quantità e qualità sufficiente a soddisfare i bisogni di ogni individuo, libero da sostanze tossiche, e accettabile in ogni contesto culturale dato, e la possibilità di accedere a tale cibo in modalità che siano sostenibili e non interferiscano con il godimento di altri diritti umani.
Secondo l’ Organizzazione Mondiale della Sanità, si parla di “accesso sostenibile all’acqua potabile” quando la fonte d’acqua è distante meno di 1 chilometro dal luogo in cui viene utilizzata e quando permetta l’utilizzo giornaliero sicuro di almeno 20 litri per ogni persona di ogni nucleo famigliare; e si definisce “acqua potabile” l’acqua utilizzata per uso domestico, per bere, cucinare e per l’igiene personale.
La Campagna svilupperà il tema del diritto all’acqua esplorato nella complessità delle interconnessioni con i temi della buona finanza e della costruzione di un mondo di pace: non c’è diritto all’acqua se non si regola la finanza; non c’è pace durevole se non è fondata sulla giustizia sociale e sul rispetto dei diritti di tutte le donne e gli uomini di oggi e delle generazioni future, tra cui quello essenziale dell’acqua.
Avevo sete
Ci sono sensazioni che raccontiamo ma che non sappiamo cosa significano.
Raccontiamo di altri, interpretiamo, ci facciamo portavoce di ciò che ci sembra di capire; ma di fatto noi dovremmo avere la dignità e il coraggio di non dire nulla, perché non abbiamo nessuna consapevolezza.
La sete, per noi, fa parte di queste sensazioni intuite e mai vissute; ci può essere capitato di essere smaniosi, ma la sete, quella vera, non sappiamo cos’è.
Forse è questo il motivo che ci porta a considerarla una manifestazione di disagio e di sofferenza superficiale, che non richiede analisi approfondite o progettualità. Perché alla fine, noi, quando abbiamo sete, prima o poi qualcosa da bere lo troviamo.
Già, noi. Noi che nei convegni spieghiamo che ci sono alcuni milioni di persone che muoiono di fame e che non hanno accesso all’acqua potabile; noi che ci lasciamo convincere che lì non ci sono le risorse; noi che accettiamo e leggiamo questi dati cogliendo il retrogusto amaro della nostra lontananza dal problema e dalle persone che lo vivono.
Siamo vicini ad ammalati e poveri senza casa, ma vicini a chi sta morendo di fame e di sete non lo siamo mai stati. “Avevo sete e mi hai dato da bere” lo releghiamo ad una azione che non tocca la persona con la stessa intensità con cui affrontiamo altri disagi.
Eppure la sete narra, come pochi altri testimoni, la precarietà e la pochezza della nostra umanità. Avere sete racconta di assenza di futuro. Avere sete narra di disinteresse. Avere sete racconta della perdita del senso di comunità e del bene comune.
Avere sete è dichiarare l’impossibilità di potersi permettere altro che non sia semplicemente l’essenziale.
Una campagna per il diritto all’acqua ha forse l’opportunità di superare le grandi prospettive per riportarci all’incontro con l’uomo, con ogni persona che muore perché nessuno gli ha dato da bere o da mangiare.
Di fronte a questo non dovremmo spiegare perché lui muore di sete, ma dovremmo dirci perché noi lasciamo che muoia di sete.
Sete di acqua
«Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità. Questo debito si salda in parte con maggiori contributi economici per fornire acqua pulita e servizi di depurazione tra le popolazioni più povere. Però si riscontra uno spreco di acqua non solo nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo che possiedono grandi riserve. Ciò evidenzia che il problema dell’acqua è in parte una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità.
Una maggiore scarsità di acqua provocherà l’aumento del costo degli alimenti e di vari prodotti che dipendono dal suo uso. Alcuni studi hanno segnalato il rischio di subire un’acuta scarsità di acqua entro pochi decenni se non si agisce con urgenza. Gli impatti ambientali potrebbero colpire miliardi di persone, e d’altra parte è prevedibile che il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasformi in una delle principali fonti di conflitto di questo secolo.»
(Francesco, Lett. Enc. Laudato sì, 30-31)
LO STATO DELL’ACQUA E DELL’INSICUREZZA ALIMENTARE
Dal 990 ben oltre 2 miliardi di persone hanno ottenuto l’accesso alle risorse “bonificate” di acqua potabile. Oltre metà della popolazione mondiale, circa 4 miliardi di persone, ora può godere del più alto livello di accesso all’acqua: una tubatura di acqua direttamente in casa.
E questa è una buona notizia, ma rimane ancora molto da fare. Più di 700 milioni di persone ancora non hanno accesso a risorse bonificate di acqua potabile e circa la metà si trova nell’Africa sub-Sahariana.
(da “Progress on drinking water and sanitation 2014” WHO, UNICEF)
Inoltre, a livello globale, a fronte di una popolazione di oltre 7miliardi di persone, produciamo cibo per 12 miliardi di persone, eppure 805 milioni di persone soffrono ancora la fame.
Le ultime stime della FAO indicano che la riduzione globale della fame continua nel periodo 2012-2014, la percentuale della popolazione che soffre la fame è scesa dal 18.7% al 11.3% a livello globale e dal 23.4% al 13.5% per i paesi in via di sviluppo. Nonostante i progressi, persistono marcate differenze tra le varie Regioni. L’Africa Sub-Sahariana ha la percentuale più alta di denutrizione, con modesti progressi negli anni recenti. Circa una persona su quattro è denutrita. L’Asia, la regione più popolosa del mondo, ha ancora il
numero più alto di persone denutrite.
(da “The state of food insicurity 2014” FAO, IFAD, WFP)
Sete di giustizia
«[…] La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr. Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano.[…] »
(Francesco, Esort. Ap. EvangeliiGaudium, 55)
Nel 2014, l’1% più ricco della popolazione mondiale possedeva il 48% della ricchezza globale, lasciando il 52% da spartire tra il restante 99% di individui sul pianeta. La quasi totalità di quel 52% era posseduto da persone che rientravano nel 20% più ricco, lasciando quindi solo il 5,5% al restante 80% di persone.
Se questa tendenza continuerà, con una crescita a favore dell’1% più ricco, in soli due anni si determinerà una situazione per cui l’1%più ricco possiederà più del totale posseduto dal restante 99% delle persone, con una quota di ricchezza dell’1% più ricco che supererà il 50% entro il 2016.
(da “Grandi diseguaglianze crescono”, rapporto OXFAM, gennaio 2015)
Sete di Pace
«A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo quale è quello di attuare la vera pace nell’ordine stabilito da Dio»
(Giovanni PP XXIII, Lett. Enc. Pacem in Terris, 87)
La ricerca della pace non può però limitarsi al perseguire una situazione di assenza di violenza e guerra; si tratta invece di costruire quelle condizioni, quelle relazioni, in termini di comportamenti, istituzioni e strutture, che guidano ogni società verso una modalità di convivenza pacifica.
La costruzione di una società di pace implica dunque, in tutto il pianeta, un cambiamento di mentalità: la scelta della nonviolenza come modalità di prevenzione e risoluzione dei conflitti; una presa di consapevolezza che metta al centro la dignità della persona umana come premessa per la costruzione di un mondo di pace. Nel cinquantesimo anniversario dell’enciclica Pacem in terris, Papa Francesco ricorda che «è compito di tutti gli uomini costruire la pace, attraverso due strade: promuovere e praticare la giustizia, con verità e amore; contribuire, ognuno secondo le sue possibilità, allo sviluppo umano integrale, secondo la logica della solidarietà».
Tra il 2010 e il 2014 il volume degli scambi di armi nel mondo è aumentato del 16% rispetto al periodo tra il 2005 e il 2009. L’Italia è all’ottavo posto della classifica mondiale: esporta il 3% delle armi trasferite nel mondo ed è al primo per il volume di affari nell’esportazione di armi leggere. Le importazioni dall’Africa sono cresciute del 45% dal 2010 al 2014. Nel 2013 le spese militari nel mondo sono state pari a 1.747 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti sono al primo posto (600,4 mld di dollari) seguiti da Cina, Russia e Arabia Saudita.
(da: SIPRI – Istituto di ricerca per la pace di Stoccolma).