Osservatorio Romano sulle Migrazioni

Presentato il Rapporto 2011. On-line la scheda di sintesi

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Parte dall’Isola Tiberina, antico porto della città come fosse una “antesignana” di Ellis Island a New York, la vocazione di Roma ad essere terra di immigrazione, di accoglienza e di integrazione. Iniziano ricordando questo aspetto della storia millenaria della Capitale, quale luogo di incontro di popoli, culture e religioni, gli autori dell’ottavo Rapporto dell’Osservatorio Romano sulle Migrazioni, per tracciate un quadro della presenza straniera nella capitale. Lo studio, promosso dalla Caritas diocesana di Roma in collaborazione con la Provincia e la Camera di Commercio, è stato presentato il 5 dicembre con una conferenza stampa del direttore della Caritas, monsignor Enrico Feroci.

Secondo gli autori, l’area romana presenta una forte dimensione internazionale ospitando 347 mila stranieri residenti ai quali si aggiungono altri 100mila che, pur risiedendo nei comuni dell’hinterland, hanno nella Capitale il centro dei propri interessi economico-sociali. “Una persona ogni otto che si incontrano per le strade della città ha la cittadinanza straniera” ha spiegato Franco Pittau, curatore della ricerca. Per questo, ha detto, “di fronte a un andamento demografico che vede gli anziani crescere a un ritmo molto più intenso dei giovani, l’immigrazione diventa un indubbio fattore di rinnovamento e dinamismo”.

Gli immigrati infatti hanno un’età media poco al di sotto dei 38 anni e sono sposati nel 40% dei casi. I minori sono circa 80 mila e di essi 52 mila frequentano la scuola, senza problemi di lingua perché quasi la metà è nata in Italia. Del milione e 800mila lavoratori occupati in Provincia romana, 235mila sono immigrati, il 13,8% del totale e di essi 6 su 10 hanno meno di 45 anni, con un tasso di occupazione più alto rispetto agli italiani sia nel caso degli uomini che delle donne e la concentrazione in alcuni comparti, come l’edilizia e l’assistenza alle famiglie.

Una dinamica questa che, purtroppo, nell’ultimo anno ha dovuto scontrarsi con la crisi economica che nell’area romana continua a far sentire i suoi effetti negativi vedendo aumentare, insieme agli occupati, anche il numero di immigrati disoccupati. Per questo, oltre alla crescita del numero dei residenti stranieri nell’ultimo biennio si è registrato il non rinnovo di circa 100 mila permessi di soggiorno, in prevalenza per lavoro e per famiglia. Si tratta di persone, spiegano i ricercatori, che avendo perso il lavoro non ha potuto rinnovare il titolo di soggiorno ed è probabilmente rimasta in modo irregolare.

Un terzo degli stranieri proviene da paesi dell’Unione Europea e due decimi da aree a sviluppo avanzato, molti presenti a Roma come diplomatici e per rapporti di affari. I romeni continuano ad essere i più numerosi (74.583 residenti, 21,6% del totale), seguiti da filippini (34.995 e 10,1%) e, con numeri che vanno dalle 16mila alle 10mila unità, bangladesi (4,7%), polacchi (4,4%), cinesi (3,9%), peruviani (3,8%), ucraini (3,1%), egiziani (3,0%).

La distribuzione nella città conferma la preminenza dei municipi 1, 20 e 8 che, nel complesso, accolgono quasi un terzo degli stranieri residenti. Viste nel loro insieme, le strategie abitative degli immigrati svelano una “nuova geografia” con tre grandi modelli insediativi: nei quartieri residenziali vi sono gli immigrati che vivono insieme alle famiglie dove sono alle dipendenze come domestici e assistenti familiari. Nei quartieri in crescita, non solo in periferia ma anche in zone centrali dove sono presenti costruzioni popolari, vi sono gli immigrati inseriti nei servizi o nel commercio. Il più recente modello che vi va affermando è quello della periferia diffusa, che raggiunge e include i comuni della prima cintura della Capitale e che promette di estendersi sempre più anche alla seconda cintura di comuni della provincia romana.

Un messaggio di speranza è giunto dal direttore della Caritas, monsignor Feroci. “Insieme, per le vie del futuro” è il titolo che abbiamo voluto dare alla pubblicazione di quest’anno” ha spiegato il sacerdote. “Se non ci fossero gli immigrati – ha detto il direttore della Caritas – le cose andrebbero ancora peggio: per l’apporto che danno in termini lavorativi, per la disponibilità a inserirsi in tutti i settori, per le tasse che pagano, per i contributi previdenziali che versano con la prospettiva di un’età pensionabile ancora lontana, per il supporto demografico che assicurano”. A questo però, secondo la Caritas, non corrispondono politiche per l’integrazione che vadano oltre le fasi di emergenza e che puntino ad un efficace e sistematico coordinamento tra i servizi esistenti e a un loro ripensamento nell’ottica di una reale autonomia delle persone accolte.

Per questo monsignor Feroci ha invitato a riscoprire il volontariato perché “è tempo di capire che dobbiamo curarci degli altri. Gli immigrati, i loro paesi, la fuga dalla miseria, l’attaccamento alle nostre persone, alla pari di tanti italiani che hanno bisogno di noi, ci dicono che non possiamo rimanere insensibili”