Insegnare agli ignoranti… consigliare i parroci

Un centro di ascolto parrocchiale
Un centro di ascolto parrocchiale

Capita di frequente che un parroco senta il bisogno di affrontare un aspetto “critico” dell’esperienza di carità della sua comunità; capita che per sciogliere certi nodi scelga di confrontarsi con degli operatori diocesani; accade quasi sempre che questo incontro realizzi uno scambio generativo dal quale si esce arricchiti tutti insieme: parroco, comunità, operatori diocesani.
Potrei raccontarne molti di questi incontri, sia quelli dove è nato qualcosa di nuovo sia altri di cui è rimasto solo il confronto. Tra queste esperienze ce ne sono due che mi sembrano davvero raccontare il senso, il valore e la capacità di aprire nuovi percorsi che queste relazioni offrono. Racconto la mia versione, dal punto di vista di chi, chiamato in causa come “esperto” di certe situazioni e al quale spesso si chiede di indicare prontamente la direzione da percorrere, si rivolge all’interlocutore considerandolo come il vero soggetto del cambiamento, il solo esperto della situazione che vive la comunità parrocchiale che può e deve trovare, se lo vuole “relazionalmente” la direzione e il percorso per cambiare. Con i due parroci di cui racconto, come con altri dalle storie comunitarie simili, ci siamo incamminati, ciascuno con il proprio ruolo, in una relazione che prima ancora che sussidiaria è rispettosa della realtà dell’altro e della specificità delle comunità di cui si ragiona.

Prima storia: Con il solito passo veloce e sicuro il nostro primo “Don” entra nella mia stanza, ha in mano un foglietto sul quale tiene in modo ordinato tutte la cose da dire e le sue proposte. Ha un’intenzione chiara: trovare una soluzione diversa, radicalmente diversa, all’aiuto alimentare che la sua parrocchia da, ad un numero oramai incontrollato di persone. Il suo è un problema pratico: evitare le file, le liti tra i beneficiari che si guardano l’uno nel pacco dell’altro per capire se ci sono state parzialità o trattamenti differenziati, evitare il malcontento dei volontari, la perdita di fiducia e di motivazione.
Il nostro parroco ha le idee chiare su come cambiare e me ne chiede conferma. Usando l’ISEE – il certificato che determina la capacità reddituale e patrimoniale delle famiglie utilizzato per l’accesso ai servizi sociali, come per le riduzioni della rate della mensa scolastica – “filtrerebbe” le persone che ne hanno veramente bisogno dagli altri che si approfittano.
Mentre mi spiega, e risponde ad alcune domande, gli si dipanano davanti tanti altri aspetti problematici della questione e il limite della soluzione “oggettiva” che vuole applicare. Semplicemente dialogando emergono altre attenzioni e necessità: conoscere le situazioni delle famiglie oltre i numeri e documenti che non sempre sono veritieri; avere persone che siano capaci di entrare in ascolto di queste famiglie; un luogo diverso per un servizio di cura delle persone per poter davvero accompagnare le famiglie o i singoli che chiedono aiuto verso una soluzione possibile dei loro disagi. Appare in questo modo l’esigenza e la possibilità di creare un nuovo servizio di ascolto e la conseguente ricerca di nuove persone da formare per non ripetere gli stessi passi ed imparare ad utilizzare altri strumenti più promozionali, diversi dal solito pacco viveri.
Dal confronto nasce così un nuovo progetto di carità in parrocchia. L’antico servizio di aiuto alimentare, la cui capacità di essere segno di una comunità interessata alla cura del fratello e alla sua liberazione ha oramai perso di significato. Esso non scompare, ma viene integrato nel progetto stesso dove sono previsti nuovi e più efficaci servizi che possono rinnovare il segno testimoniale che la comunità desidera dare: una carità attenta all’uomo, centrata sulle sue capacità e risorse non solo sulle richieste e bisogni. Dopo alcuni mesi di lavoro e di formazione; di attenzione particolare del parroco e di crescita del gruppo di volontari con persone più fresche e vicine alle nuove proposte il progetto di carità prende vita e si esprime con strumenti nuovi di accoglienza e promozione sociale e pastorale. Il progetto chiama a raccolta tutta la comunità nel prendersi carico e farsi corresponsabile di nuovi servizi e delle necessità che attraverso questi si ha la possibilità di incontrare.

Seconda storia: il nostro “Don” si presenta con un’esigenza articolata dove non c’è un solo servizio di carità da rivedere. E’ infatti l’insoddisfazione generale sulla cultura che determina i servizi ad essere messa in crisi dal nostro parroco. Un cultura che sembra abbia contagiato ogni servizio ed esperienza di carità della parrocchia. Una cultura che ha prodotto servizi dove al centro non ci sono più gli ospiti, ci dice, ma coloro che fanno il servizio, come un servirsi del servizio piuttosto che servirlo. Una grande rassegna di attività sono presenti con tante espressioni di aiuto ma tutte a carattere fortemente personale, improntate da uno o due responsabili che, praticamente, se ne identificano.
Come poter ridare alla comunità un progetto di Carità? Come far sentire che i servizi hanno bisogno di essere “per” qualcuno e non “di” qualcuno? Parte da qui il nostro dialogo con la precisa richiesta del nostro “Don” di affidarci la soluzione: venite, formate e cambiate! Ma educare non è fornire istruzione e ricette preconfezionate, bensì attivare capacità e far crescere il desiderio di averne altre! Perciò cerchiamo insieme delle strade di intervento dove porre, se necessario, la disponibilità a formare purché ciò permetta veramente alla parrocchia di riflettere e convertire uno stile consolidato. Lascio al nostro parroco la ricerca di punti di forza per costruire una “soluzione” a partire dalla sua esperienza e dalla conoscenza approfondita della comunità.
C’è voluto un po’ di tempo, poi i tanti fili e le domande lasciate aperte, hanno cominciato ad intrecciarsi. Ci si incontra di nuovo, ma con la elementi maggiori e una nuova idea: partire con nuovi servizi che inglobino se possibile i vecchi ma soprattutto con la ferma volontà di attivare nuovi volontari e volontarie, creando un coordinamento dei servizi e soprattutto avviare con il Consiglio pastorale parrocchiale un processo decisionale rispetto al progetto di carità della parrocchia che porti a scegliere comunitariamente di quali servizi vi sia veramente bisogno nel quartiere e che la comunità può sostenere. Nulla è qui dato per scontato, ciascuno deve risignificare l’attività ad altri, che spesso non la conoscono ed insieme, si decide! Da qui è partito un loro nuovo percorso che procede, a piccoli passi; che cammina cercando continuamente il senso ed il valore testimoniale di ciò che si fa, non si accontenta di fare, o far fare a qualcuno cui delegare, un’attività qualunque di carità.
In entrambe le storie, tracciate con poche tinte sfumate, mi ritrovo a pensare come la ricerca della soluzione ad un problema abbia generato in realtà una relazione, dentro la quale prende vita la riflessione tra chi vive la comunità e chi conosce i tanti percorsi di altre comunità, che spesso aiutano a essere anche solo uno specchio utile a riflettere “dialogicamente” le proprie idee e le soluzioni che da queste si generano affinandole e trovandone i percorsi possibili.

La richiesta allora che gli uffici diocesani accolgono dalle parrocchie, e dai parroci in particolare, è l’opportunità, bella e difficile, di un “fare insieme”; di cercare, nelle possibilità offerte da ogni realtà, i segni più importanti e significativi da generare con le comunità parrocchiali ed i modi attraverso cui essi si rendono tali; di chiederci di continuo il significato di quei segni e soprattutto la loro capacità di essere, per la comunità e per il mondo, visti letti e interpretati come “segni” del Padre, frammenti del Regno che siamo chiamati a costruire con Lui.
In questa ricerca ho più volte riscoperto come, anche dietro le questioni che sembravano molto pratiche, si nascondessero necessità di dare senso e significato ai servizi, all’incontro con i poveri e alle loro domande di vita; ma, soprattutto, di riuscire davvero a far parlare ciò che una comunità fa per gli ultimi come se raccontasse la Salvezza di Dio e la sua misericordia per tutta l’umanità . Scoprire la volontà di Dio in queste situazioni, cercare scelte coerenti al Vangelo e alla sequela di Gesù divengono la vera sfida che ci fa camminare insieme, ciascuno con il proprio ruolo, responsabilità, storia personale, vocazione e talento.

Fabio Vando
Area Promozione umana