«Siamo andati al sepolcro e lo abbiamo trovato vuoto»

Il racconto del pellegrinaggio della Caritas di Roma che si è svolto dal 30 giugno al 7 luglio 2014

«Siamo andati al sepolcro e lo abbiamo trovato vuoto», così i pellegrini della Caritas diocesana di Roma raccontano il loro viaggio in Terra Santa che si è concluso il 7 luglio scorso. «Un’esperienza intensa – spiega monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas e per l’occasione anche guida del gruppo – che abbiamo vissuto come esercizi spirituali, accostandoci ai luoghi di Cristo prima attraverso la Parola e poi con la meditazione».

Foto 1 Terra Santa wUn pellegrinaggio che, oltre ai tradizionali itinerari che ripercorrono le vicende narrate dai Vangeli in Galilea e Giudea, ha permesso ai partecipanti di incontrare le opere di solidarietà con cui i cristiani testimoniano la loro presenza in quella terra, santa e martire. Trentotto persone, operatori e volontari dei centri Caritas, per una settimana hanno percorso un itinerario spirituale che da Nazareth li ha portati al monte Tabor, a Cafarnao, sul Lago di Tiberiade e nel deserto, per giungere a Gerusalemme e Betlemme.

Nella città santa, oltre ai luoghi in cui Gesù ha vissuto la passione e si è manifestato ai discepoli dopo la risurrezione, i pellegrini hanno incontrato anche le altre grandi fedi monoteiste.

La sera del 4 luglio, primo venerdì del tempo di ramadan per i musulmani e inizio dello shabbat per gli ebrei, migliaia di persone erano in preghiera dopo una giornata carica di tensione. Nel pomeriggio si erano svolti i funerali del giovane arabo ucciso da un gruppo di ebrei ultraortodossi come rappresaglia per la morte di tre studenti israeliani che, pochi giorni prima, erano stati rapiti e assassinati nei territori palestinesi. Un evento che ha causato scontri e proteste e che, ancora oggi, vede seriemente compromesso il processo di pacificazione dei due popoli.

Foto 3 Terra Santa wProprio per capire questo contesto, il gruppo ha visitato a Betania gli istituti delle suore Vincenziane e delle Missionarie Comboniane che vivono sul confine, con il “muro” costruito dagli israeliani che attraversa il loro giardino. Entrambi gli istituti sono impegnati nella scolarizzazione dei giovani palestinesi, un’opera divenuta molto difficoltosa proprio per la divisione che è stata imposta. «Il tragitto per arrivare a scuola – ha spiegato la suora comboniana Anna Maria Sgaramella – che prima della costruzione del muro era di poche centinaia di metri, attualmente è diventato di circa quaranta chilometri». La missionaria spiega però che «questo non ha scoraggiato i genitori, ma che anzi ha permesso loro di sentirsi ancor più una comunità che si riunisce e si organizza nelle difficoltà». La suora ha poi narrato le difficoltà dei cristiani locali, tutti arabi, di vivere in una terra di confine tra due fazioni in perenne lotta. Un atteggiamento che la comboniana ha definito “neutralità di prossimità”, in cui «non ci si schiera con nessuna delle parti, ma ci si relaziona con chi vive accanto a noi: i palestinesi che cercano aiuto e provano a scavalcare il muero in cerca di lavoro, i soldati che stazionano davanti al nostro cancello».

L’ultimo giorno a Betlemme, oltrepassato quel confine “innaturale”, a pregare nella Basilica della Natività e a incontrare Gesù nell’opera della Suore Francesca Elisabettine impegnate nel Baby Caritas Hospital. Insieme al loro la celebrazione eucaristica e la consegna di un contributo di solidarietà della Chiesa di Roma alla loro struttura.

Ultimo atto, di intensa spiritualità, la processione lungo il muro del check point 304 recitando il rosario, fino al murales della “Vergine che abbatte i muri” dove anche papa Francesco ha pregato per la Pace.

Un’invocazione che si rinnova più che mai in questi giorni.

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