Contro l’azzardo la corresponsabilità

Le minacce a una barista No Slot spunto per una riflessione sulle responsabilità dei gestori

140312-021L’antefatto è un articolo dell’Avvenire in cui si rendeva il merito di aver rimosso le slot machines dal proprio locale a una barista di Viareggio, stanca di assistere alla quotidiana rovina di persone inchiodate davanti a quegli schermi. Diffuso tramite la pagina facebook del quotidiano, oltre ad aver ottenuto migliaia di condivisioni e attestazioni di apprezzamento, l’articolo ha attirato anche vari commenti intimidatori rivolti alla giovane esercente: “Chiuderai, immagino la folla!”; “Morirai di fame”…

Non sono passati inosservati alla redazione di Avvenire, che con un nuovo articolo pubblicato domenica ha denunciato la vicenda, rinnovando il sostegno a quanti scelgono di anteporre il bene del prossimo e della comunità a incassi forse facili, ma imbevuti del disagio e della disperazione di chi perde se stesso dietro l’illusione di vincere.

Lo scorso maggio anche la Chiesa di Roma aveva aderito con convinzione allo Slot Mob nazionale promosso dal Movimento nato ormai tre anni fa per sostenere e premiare gli esercenti coraggiosi che decidono di andare controcorrente, nonostante gli ostacoli amministrativi e le penali economiche, previste dalle società concessionarie delle macchinette per conto dello Stato in caso di recesso dal contratto.

Sì, perché l’organizzazione del gioco d’azzardo in Italia assomiglia sempre più a una spirale che incatena quanti ne sono a diverso titolo coinvolti, alimentando a cascata una dinamica di dipendenza. Lo Stato è dipendente dalle entrate erariali che questo consumo muove: 8,7 miliardi secondo i dati della Camera relativi al 2015, che costituiscono una fonte di denaro immediatamente disponibile, e per questo ormai strutturalmente funzionale al bilancio pubblico.

L’industria del gioco d’azzardo, che comprende le grandi società cui lo Stato affida tramite concessioni pluriennali la produzione, commercializzazione e raccolta del gioco d’azzardo, e le aziende cui queste operazioni sono subappaltate, opera per la massimizzazione del proprio profitto, entro l’assurda contraddittorietà di un consumo che, al pari di tabacco e alcolici, è Monopolio di Stato perché ritenuto nocivo, ma poi di fatto è promosso e incentivato con ogni strategia di marketing e di vendita.

Proprio in queste strategie incorrono gli esercenti, prima ancora dei consumatori finali, attirati dalla prospettiva di guadagni facili e altrettanto ignari delle conseguenze che ne derivano.

Buoni premio di qualche migliaia di euro in cambio dell’installazione in comodato d’uso gratuito delle macchinette all’interno del proprio locale, insieme alla garanzia di una percentuale del denaro speso dai giocatori, sono le più frequenti esche con cui gli esercenti vengono attirati nel sistema del gioco d’azzardo: quanto basta, soprattutto in un periodo di crisi dei consumi e di alti costi di gestione dei locali come quello attuale, per convincere ad accettare le slot machines come fonte di sostentamento della propria attività; quanto basta, in definitiva, per diventarne dipendenti.

Solo a posteriori ci si potrà rendere conto che quella decisione apparentemente vantaggiosa ha catalizzato intorno a sé disperazione, rovina, situazioni di conflittualità, intemperanze tra giocatori, richieste di prestito, problemi di ordine pubblico, fino a furti e rapine.

A quel punto scatta la solitudine dell’esercente, che ha maturato la consapevolezza etica di quanto il gioco d’azzardo sia portatore di povertà e disagio e vorrebbe disinstallare le macchinette, ma si trova invischiato in clausole contrattuali tali da comportare anche decine di migliaia di euro di penale; sperimenta il timore di perdere la clientela, la sensazione di non avere alternative.

Esempi come quello della barista di Viareggio sono importanti proprio per questo, perché testimoniano che l’alternativa esiste!

Eppure infastidiscono qualcuno. È facile immaginare che qualche esercente con slot machines nel proprio locale sia stato incuriosito dall’articolo, dalla possibilità di sostituire questi apparecchi alienanti con una libreria, con altre attività imprenditoriali, ma che, tra tutti i commenti di generico sostegno, si sia imbattuto anche in quelli che suonano come un sinistro avvertimento sull’impossibilità di recidere senza conseguenze il vincolo di dipendenza instaurato con il gioco d’azzardo.

Proprio su questo siamo tutti chiamati ad un’assunzione di responsabilità.

Chi decide di affrancarsi da questo stato di cose non può essere lasciato solo, e le generiche attestazioni di solidarietà non bastano se non sono supportate da un comportamento coerente.

Dedicarsi anche solo occasionalmente al gioco d’azzardo significa alimentare dal basso la spirale che induce gli esercenti a basare su questo tipo di consumo la propria attività commerciale; rendere disponibile il gioco d’azzardo all’interno della propria attività significa lucrare sulle illusioni delle persone e in particolare di chi non è in grado di controllare il proprio comportamento; intimidire quanti cercano un’alternativa significa rendersi parte di una dinamica perversa. Non si tratta di nascondere le difficoltà, anzi. È evidente che quando si parla di esercizi commerciali, la scelta etica deve potersi coniugare con la sostenibilità economica.

Qui risiede l’importanza delle politiche locali in materia di sgravi fiscali e agevolazioni che contribuiscano a bilanciare sul breve periodo i mancati introiti che la rinuncia alle slot machines comporta. Qui emerge inoltre l’urgenza di politiche di sostegno all’imprenditorialità, capaci di sostenere la riconversione di esercizi commerciali che sono diventati economicamente dipendenti dal gioco d’azzardo in attività che producono valore, a servizio della comunità.

88 miliardi di euro spesi in un anno dagli italiani per il gioco d’azzardo non sono sostenibili in un Paese la cui economia è ancora ferma e stenta a uscire dalla crisi. La dipendenza dal gioco d’azzardo riguarda anche la società ed è necessario aprire gli occhi sui suoi effetti.

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