Su L’Osservatore di Strada “Il valore della gratuità”

Ruoli invertiti per l’intervista dedicata al tema del volontariato. Fabrizio Salvati, ospite di una casa di accoglienza, a colloquio con il direttore Giustino Trincia.

Papa san Paolo VI nel 1971 istituì la Caritas affinché l’esercizio da parte della Chiesa del servizio della carità, sia a livello di assistenza sia di animazione pastorale, fosse presente, in maniera capillare e organizzata, in ogni diocesi. A Roma, dopo la creazione di un primo gruppo di animatori Caritas per la raccolta di aiuti in favore delle popolazioni colpite dal terremoto in Friuli del 1976, san Giovanni Paolo II , nel 1979, istituì presso il vicariato l’ufficio pastorale Caritas, nominando direttore don Luigi Di Liegro.

Volendo approfondire la figura e il ruolo del “buon samaritano” del XXI secolo, «L’Osservatore di Strada» ha bussato alla porta del direttore della Caritas di Roma, Giustino Trincia, che con grande disponibilità ha risposto alle nostre domande.

Non sono qui a chiederti di parlare di poveri e povertà — li conosco bene entrambi —, ma di parlare di chi se ne prende cura, ovvero un po’ anche di te stesso. Ti imbarazza questo scambio di prospettiva e di ruoli?

Non provo nessun imbarazzo. In fondo il nostro compito, e dunque anche il mio, è di fare il possibile per aiutare a fare bene il bene favorendo l’incontro tra chi desidera essere di aiuto e coloro che ne hanno bisogno. La buona volontà non basta, per fare bene all’altro occorre anche un po’ di competenza; la disponibilità a lavorare in squadra e a sostenersi; l’umiltà a rendersi disponibile ad apprendere dagli altri e dalle stesse persone povere che si vuole aiutare. Non sono cose semplici, soprattutto quando, provenendo da una lunga esperienza lavorativa, si pensa di non avere granché ancora da imparare, soprattutto da chi viene da dolorosi fallimenti lavorativi e familiari.

Nella mia esperienza ho conosciuto tante difficoltà, ma ho incontrato anche tante persone che mi hanno aiutato, con disinteresse e amicizia. Perciò, tramite te, vorrei prima di tutto ringraziare tutti i buoni samaritani — anche laici e non credenti — che vengono in soccorso dei mendicanti che affollano le strade delle nostre città. Qual è, secondo te, la cifra distintiva del volontariato cristiano?

Credo, anzitutto, che sia la povertà di spirito. Gesù, infatti, si è fatto povero per noi, per noi tutti, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr. 2Cor 8,7-9). La povertà di spirito è la condizione indispensabile per un vero ascolto dell’altro e per una compassione profonda e non di facciata. Per un cristiano penso che non ci sia cosa peggiore che mettersi su un piedistallo e guardare dall’alto verso il basso il fratello o la sorella povera e permettersi di giudicarli. Noi siamo i loro allievi: ascoltiamoli senza pregiudizi, ci daranno grandi insegnamenti.

L’altro aspetto distintivo è la consapevolezza che tutto in definitiva è nelle mani di Dio padre che ama tutti, a prescindere. Sempre.

Le realtà che operano nel campo dell’assistenza a chi vive in condizioni di disagio sociale costituiscono una vera galassia. Ciascuna ha un proprio “marchio di fabbrica”. Questo può costituire un valore aggiunto, che tuttavia meriterebbe di essere esplicitato attraverso un confronto più approfondito. Mi capita talvolta di notare un po’ di confusione, di sovrapposizioni. Un po’ più coordinamento non potrebbe aiutare a soddisfare i bisogni di un maggior numero di persone?

È facile coordinarsi se c’è prima un reciproco ascolto e un intenso dialogo e se c’è, poi, chiarezza e condivisione sugli obiettivi da raggiungere. Abbiamo molto bisogno di entrambi per aiutarci a mettere al centro dell’impegno di ognuno, di ogni comunità, di ogni organizzazione, il punto di vista e la condizione umana, spesso così dolorosa, dei poveri. Pure in questo caso la Parola di Dio è di enorme aiuto. Cristo, pur essendo come Dio, assunse la condizione di servo (cfr. Fil 2,5-8). Aggiungo che il problema non è tanto il fare di più per più persone, ma quello di aiutarci a risollevare le persone povere, a rimetterle in piedi, a renderle autonome e non dipendenti, a volte, anche di una carità molto schiacciata sull’assistenzialismo. Se rendo l’altro dipendente da me, non gli faccio certamente un buon servizio.

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A cura di Fabrizio Salvati E Giustino Trincia – L’Osservatore di Strada del 5 novembre 2023

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