«Dalla parte dei poveri con cuore aperto»

Stare dalla parte dei poveri. Attraverso un’evangelizzazione universale, fondata su una solidarietà senza confini. Promuovendo l’informazione, la formazione e l’educazione alla mondialità, «una disciplina trasversale che insegna ad avere un cuore aperto e grande come il mondo». Per padre Giulio Albanese, direttore dell’Ufficio per la cooperazione missionaria tra le Chiese della diocesi di Roma, è questa l’ossatura della missione. «Un impianto che guarda oltre la linea dell’orizzonte». Riflessioni che sono state al centro dell’assemblea degli animatori della carità della Caritas diocesana. Incontro che è stato trasmesso il 26 settembre in diretta streaming su You Tube.

“Con la Speranza (è) Tutto un altro Mondo”, il titolo dell’evento presentato in apertura da Giustino Trincia, direttore della Caritas romana. «Un tema che solo in apparenza può sembrare lontano dalla nostra attività – ha sottolineato il diacono –. Assistendo infatti alle terribili immagini di guerra che provengono dal Libano e ormai da tempo dalla Palestina, da Israele e dall’Ucraina – ha aggiunto –, senza dimenticare gli altri 153 terreni di conflitto in oltre cinquanta Paesi del mondo, ci si rende conto di quanto sia necessario attribuire un significato più profondo al nostro servizio per la promozione della testimonianza della carità nelle comunità parrocchiali, religiose e nel territorio della città di Roma». Il diacono ha esortato quindi a «pensare globalmente e ad agire localmente». Il mondo, ha detto, «pone questioni pressanti come il cambiamento climatico, le disuguaglianze e i conflitti, dalle quali non possiamo estraniarci, perché ne siamo profondamente coinvolti».

In questa direzione si è calata la riflessione di padre Albanese, che ha parlato dell’esistenza di un’unica grande missione. «La testimonianza della buona notizia deve sempre avere un respiro universale – ha sottolineato –. La tentazione è invece quella di chiudersi a riccio». Secondo il sacerdote, la Chiesa di Roma non è distante da quello che sta avvenendo sul palcoscenico internazionale, ma al contrario ne è immersa. «Diciamo no al particolarismo che ci porta ad affermare una visione identitaria e perniciosa del cristianesimo – ha esortato –. Il nostro posizionamento non può essere neutrale. Deve stare dalla parte dei poveri». Tuttavia, ha continuato, non esiste missione senza informazione, la quale «ci aiuta a leggere e ad interpretare i segni dei tempi, che oggi cambiano repentinamente». Per Albanese, altro aspetto fondamentale è «una formazione che abbia come contenuto i valori del regno: pace, giustizia, solidarietà, bene comune e rispetto del creato, attraverso i quali la presenza di Cristo si realizza nella storia degli uomini». Il valore principale, ha aggiunto il sacerdote, è la pace, che dipende fortemente dall’educazione alla mondialità. «Si tratta di dichiarare la povertà evangelica, che è l’affermazione della condivisione – ha detto –. Tutto questo deve entrare a far parte dell’educazione cristiana nell’ambito della formazione delle giovani generazioni.

Bisogna spiegare loro che l’Eucaristia è il Sacramento del bene comune e che non possono rimanere con le mani in mano», sono ancora sue parole. È necessario, ha aggiunto, che «i ragazzi vivano la dimensione esperienziale della fede». Ecco che, in un mondo estremamente complesso, ha concluso, «essere cristiani significa avere un approccio globale, ovvero accogliere una visione non particolare, ma universale». Sulla scia dell’intervento di padre Albanese, le conclusioni di Trincia, che ha espresso il desiderio di organizzare, anche in vista del Giubileo, un incontro notturno per le strade di Roma per mostrare a tutti la condizione degli oltre 23.0000 senza dimora della città. «È un itinerario che vorremmo proporre per far conoscere alle persone che cosa significa il declino della dignità umana, presentandoci come animatori della carità discreti che servono la chiesa di Roma non chiedendo ringraziamenti».

Per l’Anno Santo, Trincia ha esortato a adottare tre atteggiamenti. «Il primo è quello della preghiera – ha sottolineato –, il secondo quello di un’accoglienza con il sorriso e il terzo quello della carità politica, che non significa fare assistenzialismo, ma intervenire sulle cause che stanno a monte, difendendo i diritti delle persone». Per un Giubileo che si appoggi alla spiritualità portando anche vento di concretezza.

Di Giuseppe Muolo
Roma Sette del 29 settembre

Condividi