La Consolazione è un fatto che rischia di farci camminare in una sottilissima linea di demarcazione e ci fa spesso sbandare nell’esercizio pratico della Carità. In un’ottica della pedagogia dell’Amore, in cui ci viene chiesto di essere segno visibile che illumini il senso della vita, la Consolazione può diventare l’impegno più importante ma anche il più rischioso. Lavorare nella Vigna del Signore significa senza dubbio arare, piantare, seminare, innaffiare, custodire, rinforzare il terreno affidato, perché il frutto sia buono e abbondante; ma innanzitutto significa prendere consapevolezza di essere un operaio unito al Padre nella condivisione di un cammino di Comunità. Significa accettare di essere nella Vigna, come uno tra molti! È così che Essere nella Vigna significa soprattutto sentirsi parte viva e attiva di un popolo che aspira a costruire il Regno di Dio, qui in mezzo alla gente, oggi.
Consolare allora significa innanzitutto non pensarsi e ritenersi soli in un duro lavoro, del quale ci si senta unici e solitari responsabili. Il Regno, il Corpo vivo è la Relazione tra le parti, che attinge ad un grande cuore che pulsa vita. Il Corpo dunque è vivo perché le parti sono in relazione sana tra loro, perché c’è una mutua, esistenziale dipendenza ad un unico cuore che pompa vita.
La prima azione del Consolare è esserci, cioè scegliere nella nostra vita di essere una presenza, di stare con la persona sola, di permettere all’altro d’incontrarci e dare un segno semplice, che contrasta la vera disperazione: la solitudine. E’ esserci nella Verità di ciò che siamo, senza inutili e artefatte maschere o filtri che ci diano l’illusione di essere tra la schiera dei “perfetti”. E’ percorrere la strada segnata dal Concilio e ricostituirci come uomini e donne protagonisti del Regno di Dio; come Chiesa pellegrina tra la gente, accanto alla gente. La Consolazione è costruire con fatica ogni giorno un’opportunità, una cultura dell’attenzione, una prassi della condivisione, una rete di connessioni; è costruire vita. Il rischio che spesso corriamo e che ci allontana da questa opera di Misericordia è di creare una asimmetria esistenziale, dove si percepisca che i destinatari di tale impegno siano i cosiddetti testimoni sani, i chiamati a prendersi carico di bisognosi, identificati per categorie di disagio. Questo rischio, spesso legato alla definizione asettica di ruoli, competenze professionali, status sociale, patenti d’idoneità pastorale, sono il baluardo più alto e insidioso all’esperienza della Consolazione.
Gesù, Vero Dio e Vero Uomo ci ha mostrato quello che il Padre ha detto da sempre e quello che Lo Spirito ci vuole rivelare per sempre. La pedagogia della Consolazione è Gesù che ascolta, che riunisce, che intercede, che si commuove, che ama profondamente ciò che è creato e che Gli da l’occasione di rendere presente al Padre il Suo popolo così com’è, e allo stesso tempo, di rendere visibile al popolo se stesso e il Padre così come sono. Consolare presuppone entrare nel Mistero della vita in generale e nelle vite misteriose di ognuno di noi, con profonda contemplazione e quindi con uno sguardo partecipativo e operoso, che proponga possibilità, opportunità sempre e comunque, perché nessuna vita vada persa nella disperazione. Gesù tiene insieme la Verità e la Carità e chiede a noi almeno di essere onesti e di sentire il grido di ogni uomo, simile al nostro disperato bisogno d’amore e al disperato bisogno di Dio di essere amato e di amare. E’ il grido di dolore di Gesù sulla croce che riconsegna al Padre, nel Suo intimo rapporto filiale, il Suo amato popolo e le sue debolezze, ma che diventa anche Spirito per tutta l’umanità e per la Chiesa, chiamata ad essere presenza viva e vivificante nel mondo di sempre.
La pedagogia non è una scienza esatta, non ha formule e protocolli da eseguire che diano la sicurezza di un risultato, ma è una scienza umana e pastorale che prende forza e contenuti dalla minuziosa attenzione quotidiana e dalla stretta connessione tra noi e la Vita, tra l’immanente e il trascendente, tra la prassi e la letteratura, tra la coscienza e la grazia. Se come credenti e come Chiesa riusciremo a mantenere viva questa missione, l’impegno nella Misericordia della consolazione si tradurrà ogni giorno in luoghi e spazi di relazione, in cui si dia importanza all’ascolto e alla conoscenza delle storie di vita; si dia tempo al tempo della grazia che apre le coscienze alla verità e che ridimensioni l’ansia operativa e di risultato; in cui ci sia la possibilità di dare suggerimenti e indirizzare percorsi, asciugare le lacrime e di accogliere le paure, di ammonire e distogliere da falsi idoli; ma non come giudici di un tempo sfavorevole ma come operai di un Regno migliore, dicendo “presente” nel sostenere percorsi di cambiamento.
Consolare gli afflitti è imparare a sentire con partecipazione vera, con quella compassione che Gesù mostra verso i familiari di Lazzaro, l’afflizione che deforma la nostra esistenza, a tal punto da consegnare in modo personale tale grido al Padre e intercedere perché si modifichi quella disperazione. Voler consolare è anche saper intercedere personalmente e come Comunità verso chi può modificare una situazione di forte malessere; significa saper pregare il Padre e insistere perché posi il suo sguardo sulla persona; ma significa anche dare la propria voce a favore di chi non ne ha e rappresentare e intercedere verso chi ha il compito e il dovere di contribuire come istituzione o cittadino alla soluzione del problema. Questo rende visibile il nostro saper essere compagni di viaggio sinceri e capaci e saper accogliere, sostenere, modificare, la nostra vita e fornire strumenti concreti anche a chi si rende nostro prossimo. E’ una sfida di maturità o di percorso di maturazione e di Comunità, perché il Pastore non ama perdere nessuna delle sue creature.
Massimo Pasquo
Responsabile “Aiuto alla Persona”