Monsignor Enrico Feroci presenta il programma pastorale 2016-17 della Caritas di Roma
“Misericordiati-misericordianti”: sono le due parole che, forzando l’italiano, Papa Francesco ha coniato e consegnato ai sacerdoti della Diocesi di Roma in San Giovanni in Laterano, come sintesi dell’anno santo straordinario della Misericordia.
Parole che marcano l’obiettivo voluto dal Papa nell’indire il Giubileo:
riprendere coscienza del nucleo centrale della fede che l’evangelista Giovanni ha sintetizzato nelle parole: “Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio perché chi crede in Lui abbia la vita eterna”;
ricordare e fare nostra la preghiera di Gesù: “Io prego per loro….perché abbiano la vita eterna…che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo….non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me”.
Misericordiati: Papa Francesco ha voluto che noi meditassimo con gioia e con fede che il Padre ha dato il suo Figlio, il suo cuore e lo ha dato a noi, che eravamo peccatori.
Peccatori perché il nostro progenitore, che doveva essere, secondo il desiderio di Dio, lo spirito vivificante per l’umanità intera, ha risposto in maniera negativa al comando del Signore. Ha voluto salvare se stesso, ha voluto cercare altri percorsi, ha allontanato il progetto di Dio su di lui e sul mondo.
La Bibbia ci istruisce e ci fa comprendere che Dio, misterioso e misericordioso, ha continuato, però, ad inseguire l’uomo con il suo amore. Non lo ha abbandonato. “Io ci sono” ha rivelato sul monte Sinai: è il suo nome, è il nome-segno-presenza-salvezza.
Dio ha condotto l’uomo a maturare l’esigenza della misericordia, lo ha istruito, gli ha fatto fare percorsi faticosi e veritieri, lo ha aiutato a discernere la sua presenza benefica orientata al dono totale del divino all’uomo.
E come pedagogia, nel tempo, ha fatto maturare la proposta delle diverse forme di giubileo, spiritualità che è presentata sempre come dono divino di benevolenza e di misericordia.
Il Giubileo dell’Antico Testamento, è stato suggerito dalla Sapienza di Dio per convincere e vincere gli uomini all’accettazione della presenza del Signore chiedendo diversi impegni.
Il Giubileo è stato strutturato in diverse fasi (potremo dire gradini di crescita): c’è il giubileo di ogni giorno, con il dovere di giustizia di dare la mercede all’operaio che se l’è dignitosamente guadagnata, con il dovere di riconsegnare al povero, la sera, il pegno ricevuto; di ogni settimana, con il dovere del riposo universale e globale per non rubare a Dio il tempo che è di Dio, e dare come forma di giustizia il riposo a chi lavora, agli stranieri, ai servi, agli schiavi e agli animali stessi; di ogni anno, con il dovere dell’offerta delle primizie frutto della terra, proprio come i “primogeniti” degli uomini e degli animali; di ogni tre anni, con l’impegno che le decime di tutti i raccolti devono essere consegnate al Santuario e dopo distribuite ai poveri; di ogni sette anni, è l’anno sabatico, quando vedrà sospesi tutti i lavori, i lavoratori in riposo, gli schiavi liberi, i campi stessi diventati maggese, tutti i debiti rimessi ed abbonati; ed infine il Giubileo al cinquantesimo anno – il 7×7 – che potremmo definire la sintesi nello spazio e nel tempo di tutto ciò che è stato suggerito e realizzato con ciascuno di essi. In più la proprietà ritorna al proprietario originario, i debiti sono condonati, gli schiavi liberati, tutti ricompongono il nucleo familiare nella pace.
L’obiettivo finale del Giubileo, dunque, è ricordare l’opera di Dio. L’amore con cui il Padre desidera sradicare dal “cuore” dell’uomo l’egoismo, l’avidità, lo sfruttamento, l’avarizia, la superbia: ciò che San Paolo definirà “adorazione degli idoli”, tutta quella realtà che si impernia nel grande peccato dell’uomo.
Però, nonostante l’impegno di Dio con l’amore più e più volte detto e ridetto….“ti ho amato di un amore immenso….ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni….che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che non abbia fatto?”, la Scrittura continua a farci vedere, con dolore e tristezza, la pochezza e la miopia del peccato. “Contro di te, contro te solo ho peccato, – grida Davide – quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto”. “Come mai è diventata una prostituta la città fedele” scrive Isaia. E Geremia: “Pertanto non confidate nelle parole menzognere di coloro che dicono: Tempio del Signore, tempio del Signore, tempio del Signore è questo…Ma voi confidate in parole false e ciò non vi gioverà…”.
Ecco allora che se l’egoismo degli uomini rende il Giubileo lettera morta, il Signore stesso non abbandona l’iniziativa e lo rilancia senza sosta. Anzi prepara e poi invia un protagonista per l’attuazione definitiva: Gesù di Nazareth il Giubileo attuato, il Messia “da chi andremo Signore tu solo hai parole di vita eterna…”.
Solo Gesù può portare la consolazione, la pace, la misericordia-giustizia. Lui è Dio-incarnato! Solo lui è il vero Dono giubilare del Padre nella Morte e Resurrezione con l’effusione dello Spirito. Questa è la sua missione: “Mi ha unto – mi ha inviato”. È la salvezza dai peccati e dalla morte, dal male e dal dolore. Lui è il “nuovo Adamo”, essere vivificante per l’umanità intera.
E il “segno” supremo posto in atto da Gesù – l’Inviato, il Messia – è “evangelizzare i poveri” per la potenza dello Spirito di Dio.
“Evangelizzare” significa che il Signore sta con i poveri, con coloro che non si sentono autosufficienti, si sentono bisognosi; proclama loro il suo amore che non terminerà mai, consegna nelle loro mani il Regno, cosicché chi vuole appartenere al Regno già sulla terra deve convertirsi ai poveri, sottoporsi al loro servizio, rendere loro l’omaggio che ad essi spetta perché sono liberati dal Signore.
Anche noi della Chiesa di Roma stiamo vivendo questo momento di grazia. La Porta Santa della Carità, che Papa Francesco ha aperto presso l’Ostello “Don Luigi Di Liegro” il 18 dicembre 2016, ha visto passarvi più di dodicimila persone. Tutti costoro e noi ci domandiamo: quale eredità rimarrà dell’anno santo della misericordia? Un bel ricordo? Tante emozioni? Tanta generosità di coloro che hanno fatto esperienze di servizio? Certamente!
Ma credo che dobbiamo riprendere e meditare la seconda parola consegnataci dal Papa: misericordianti.
Papà Francesco e il Giubileo della misericordia ci chiede non solo di fare qualcosa, di lasciare un segno a ricordo, come un tempo si lasciava un monumento, una croce all’inizio del paese in ricordo delle “missioni” ma di essere, utilizzando la parola espressamente coniata, misericordianti.
L’esperienza che abbiamo fatto e che ancora stiamo vivendo, ci spinge, se è vera, a lavorare per rendere la Chiesa misericordiante, il discepolo di Cristo misericordiante, una porta – anche della nostra casa – misericordiante, un cuore misericordiante.
Rimarrà un messaggio, una mentalità, un’aria benefica che poi è quello dello Spirito “che spira dove vuole” e lasci ammutoliti i dotti e i sapienti.
Misericordianti! Ma verso chi?
È stato lo stesso Pontefice a suggerire le grandi priorità della nostra misericordia: il creato nel rispetto di quella ecologia “integrale”; il fratello che chiede aiuto, nell’accoglienza delle sue sofferenze e della sua persona; la famiglia e la comunità, iniziando ad amare chi ci è vicino, con cui condividiamo la vita, le giornate, il lavoro, il quartiere.
Di fronte a un pianeta che continua a scaldarsi, in cui i cambiamenti climatici sono causa di siccità, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi sempre più gravi, appaiono palesi anche le disuguaglianze generate da chi produce e consuma senza pensare all’altro e alle generazioni future. Mutazioni, a volte irreversibili, che sono causa di migrazioni forzate, guerre e sfruttamento, fenomeni che rendono ancora più vulnerabili i paesi poveri.
«Come l’ecologia integrale mette in evidenza, – scrive papa Francesco nel Messaggio per la Giornata del Creato 2016 – gli esseri umani sono profondamente legati gli uni agli altri e al creato nella sua interezza. Quando maltrattiamo la natura, maltrattiamo anche gli esseri umani. Allo stesso tempo, ogni creatura ha il proprio valore intrinseco che deve essere rispettato. Ascoltiamo tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri, e cerchiamo di comprendere attentamente come poter assicurare una risposta adeguata e tempestiva».
L’augurio del Pontefice è che il Giubileo della Misericordia possa richiamare i fedeli «a una profonda conversione interiore» imparando a cercare la misericordia di Dio per i peccati contro il creato con l’impegno di «compiere passi concreti sulla strada della conversione ecologica, che richiede una chiara presa di coscienza della nostra responsabilità nei confronti di noi stessi, del prossimo, del creato e del Creatore».
Un nuovo stile di vita misericordioso che inizi dal quotidiano, evitando gli sprechi, educando a una cultura della sobrietà.
Nel corso dell’ultimo anno, il nostro Vescovo ci ha più volte ricordato come la «missione» della Chiesa sia l’annuncio del Vangelo «che oggi più che mai si traduce soprattutto nell’andare incontro alle ferite dell’uomo, portando la presenza forte e semplice di Gesù, la sua misericordia consolante e incoraggiante». Il Pontefice che è stato a Lampedusa e a Lesbo, che ha lanciato un appello forte e accorato alle parrocchie affinché offrissero spazi di ospitalità, che ha levato la sua voce verso i governanti, che si è commosso abbracciando bambini e anziani nei campi profughi, facendosi prossimo in quello che è uno dei “segni dei tempi” ha voluto mostrarci come l’incontro con Gesù sia nel volto del povero.
La Chiesa, e in particolare la Chiesa italiana, è sempre stata un riferimento importante nelle politiche dell’immigrazione, in modo particolare negli ambiti dell’accoglienza e dell’integrazione. In questo momento, nella Penisola, un quinto del totale dei richiedenti asilo è accolto in strutture che fanno riferimento a parrocchie, associazioni e altre organizzazioni riconducibili direttamente al mondo cattolico. Dal 1971, quando Paolo VI istituì le Caritas diocesane quali organismi pastorali, l’immigrazione è stato uno degli ambiti che maggiormente ha coinvolto le comunità. Non poteva essere altrimenti, visto come il nostro Paese sia stato meta di arrivi crescenti e di come la Chiesa, soprattutto nelle aree centro-meridionali, abbia rappresentato l’unico punto di riferimento per i nuovi arrivati e per le istituzioni.
Francesco ci invita ad andare oltre, con i fatti e nelle parole. Per un cristiano, accogliere un fratello rifugiato, non è una politica demografica di contrasto al calo delle nascite; offrire un lavoro non è un investimento per il futuro affinché possano contribuire a pagare le nostre pensioni; integrare non è solo una forma di prevenzione dal terrorismo e dalla criminalità. Il Papa, come pastore, ci dice anzitutto che accogliere un rifugiato vuol dire aprire le porte a Cristo.
Vi è infine un terzo tema che papa Francesco ci ha proposto con nuovo impeto, e sulla quale ci chiede un impegno concreto. Lo ha fatto nel discorso alla Chiesa Italiana nel corso del Convegno ecclesiale di Firenze. «Dobbiamo sempre ricordare che non esiste umanesimo autentico che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani, sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale. Su questo si fonda la necessità del dialogo e dell’incontro per costruire insieme con gli altri la società civile». È la corresponsabilità che il Pontefice ci invita ad attuare come comunità cristiana e come cittadini, tornando a condividere nelle famiglie e tra amici, a vivere la comunità parrocchiale, ad abitare i quartieri, a partecipare alle Istituzioni, a farci prossimi con chi soffre. «La società – ci ha detto – si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo: quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artistica, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei media… La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità».