La riflessione di monsignor Carlo R. M. Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana.
«Il tempo di guerra che stiamo vivendo ci costringe a confrontarci in maniera drammatica con il tema della pace e della guerra. Come fare a bloccare quella che papa Francesco non si stanca di definire “follia”?»
Come garantire la giustizia? Come fermare l’aggressore? Come non pregiudicare per sempre la ripresa di percorsi di riconciliazione? Come evitare che altri conflitti, pronti a deflagrare, non scoppino improvvisamente?
Caritas italiana si sente interpellata in particolare in quello che è il suo specifico: l’azione educativa. C’è un impegno di educazione alla pace, che Caritas in questi drammatici giorni deve vivere con ancora più intensità e con molta umiltà, perché nessuno ha la ricetta pronta, nessuno ha l’esclusiva, nessuno è senza peccato. Ma soprattutto in continuo ascolto del Vangelo e del suo “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 9). Può essere utile allora richiamare alcuni tratti dell’azione pedagogica della Caritas a favore della pace.
Una prima caratteristica consiste nel suo riferirsi alla globalità dell’esperienza umana. Non ci può essere pace senza giustizia, verità, libertà, sviluppo, cura della casa comune, accoglienza e promozione degli ultimi. Questa sottolineatura deve aiutarci a evitare approcci parziali o unilaterali.
Una seconda caratteristica è quella della gradualità. Occorre cercare la pace nella sua piena realizzazione, ma nel frattempo è necessario avere la pazienza dei passi possibili, da perseguire con determinazione e realismo. Se, come dice spesso papa Francesco, nel mondo si sta combattendo «una guerra mondiale a pezzi» – e speriamo che non degeneri in una guerra mondiale tout court – occorre contrastarla costruendo «una pace a pezzi». Una terza caratteristica è quella di abituare e abituarsi al discernimento, che permette di salvaguardare la globalità, ma anche di individuare i passi – spesso molto piccoli, ma non per questo meno importanti – che possono avvicinare realisticamente e con gradualità all’ideale. Con umiltà occorre riconoscere che anche la comunità cristiana non è stata sempre pronta a denunciare le ingiustizie, la smisurata esibizione del potere, la ricerca sfrenata di conquiste, l’accumulo immenso di armi, le inutili stragi di civili con i bombardamenti a tappeto, l’uso e la proliferazione delle bombe nucleari, ecc. E in tempi più recenti per lo meno a distinguere le vere operazioni di peace keeping dalla partecipazione, anche da parte dell’Italia, a guerre di aggressione.
L’educazione alla pace porta poi a promuovere e far crescere una rinnovata responsabilità sociale e una cultura di pace, a partire dai giovani perché siano oggi e domani donne e uomini di pace. Nel contempo porta all’impegno concreto da cui deve però sempre emergere la valenza educativa, promozionale, pedagogica e profetica. Gesti concreti a favore della convivenza pacifica, proposte di cammini di riconciliazione dove ci sono ancora ferite aperte, ma anche accoglienza, protezione, promozione e integrazione degli ultimi, dei poveri, dei migranti. Caritas lo fa senza né distinzioni né confini. Oggi aiuta i profughi ucraini, ma appena possibile aiuterà anche i poveri della Russia.
Altra caratteristica della pace è la costanza: va costruita ogni giorno e non solo quando una guerra vicina ci ricorda la sua importanza. In tempo di pace o, meglio, di non-guerra, è facile lasciar vincere altri interessi, anzitutto quello economico. Se faccio soldi, perché tanti scrupoli a vendere armi? Se quel dittatore comunque mi permette di fare affari, perché denunciare le sue aggressioni? E, nel piccolo, se nella gente si diffondono sentimenti negativi e pregiudizi verso i popoli vicini, verso i migranti, se dei politici li usano per avere voti, perché preoccuparsi? In fondo sono solo parole…
Alla fine, l’educazione alla pace ci conduce alla radice di ogni guerra, di ogni ingiustizia, di ogni male: il peccato. Solo la grazia del Signore può arrivare al cuore e guarirlo, può farci riconoscere nel volto abbrutito di Caino i tratti di Abele e farci scoprire fratelli, figli dello stesso Padre misericordioso. E portarci così a essere artigiani di pace, con semplicità e costanza, con coraggio e creatività.