L’invito di Papa Francesco per la Giornata della Pace ci sollecitava a entrare in relazione con chi migra per motivi economici, di sicurezza, di persecuzione di degrado ambientale, accogliendo, proteggendo, rimuovendo e integrando considerandolo per ciò che è; solo e semplicemente un uomo e una donna in cerca di Pace.
Ci siamo lasciati guidare da questo invito e abbiamo proposto dei momenti per riflettere su come tutto questo poteva e doveva interpellarci. Sono stati momenti significativi e ricchi di testimonianze incentrati sulle esperienze di accoglienza e di cura delle persone più fragili.
Il nostro cammino ci invita a fermarci per chiederci come possiamo operare per essere attori di integrazione e di promozione. Non si tratta solo di capire come avviare processi formativi per creare occasioni di incontro offrendo opportunità e iniziative, ma si tratta di lasciarsi provocare da uno scenario di cambiamento culturale radicale, nel quale noi stessi siamo invitati cogliere le ricchezze e diversità di chi bussa alle nostre porte.
La promozione e l’integrazione non sono le parti nobili dell’accoglienza; sono l’esigenza viva di chi stabilisce delle relazioni per piantare le fondamenta su cui poggiare “Cieli nuovi e terra nuova”. Integrare e promuover significa lasciarsi coinvolgere nel pensarsi come unica famiglia umana nella quale si vivono gioie, dolori, speranze, incomprensioni e scoperte. Non dobbiamo vivere la frenesia di chi si sente solo chiamato a donare ma dobbiamo maturare l’umiltà che si lascia interrogare sulla propria disponibilità a ricevere. Non è una scelta facile perché siamo abituati ad operare, a cercare risposte a evidenziare il “come” e il “quando”. Abbiamo spesso ridotto il promuovere e l’integrare a un lodevole impegno plasmato nella progettualità e nella valorizzazione di esperienze. Non ci è chiesto di aumentarne il numero o la visibilità. Forse ci si chiede di sdoganare tutto questo dall’ esigenza di rispondere ad una ipotetica e sbandierata emergenza per trasformarlo in un percorso di conversione che ci apre all’altro, non come soggetto da aiutare, ma come compagno di viaggio con il quale è vitale condividere.
Farlo durante una festa dedicata alla Pace, come abbiamo fatto insieme ai tanti giovani che erano con noi domenica 27 maggio, è solo un modo per dirci che “Abbiamo bisogno di rivolgere anche sulla città in cui viviamo questo sguardo contemplativo, «ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze […] promuovendo la solidarietà, la fraternità, il desiderio di bene, di verità, di giustizia»,[10] in altre parole realizzando la promessa della pace… Chi è animato da questo sguardo sarà in grado di riconoscere i germogli di pace che già stanno spuntando e si prenderà cura della loro crescita. Trasformerà così in cantieri di pace le nostre città, spesso divise e polarizzate da conflitti che riguardano proprio la presenza di migranti e rifugiati”. (papa Francesco, Giornata Mondiale per la Pace 2018).
Oliviero Bettinelli
Area Pace e Mondialità