Isolamento sociale, il fenomeno del “barbonismo domestico”

barbonismoDal mese di aprile, la Caritas, dopo anni di lavoro sul campo della marginalità domestica in cui ha incontrato anziani e adulti in molti dei territori di Roma, ha iniziato un servizio di cura per persone affette da forme di esclusione ed isolamento sociale. Si tratta di un progetto del V Dipartimento del Comune di Roma che prevede interventi domiciliari a contrasto di realtà molto degradate che mettono a rischio una parte consistente di popolazione, tendente all’accumulo e ad una forma estrema di trascuratezza degli ambienti domestici, al limite spesso di emergenza socio-sanitaria.

Abbiamo già incontrato 60 persone delle possibili 133 segnalate e vediamo che si tratta in maggior misura di anziani, soli e malati; di adulti singoli; a volte in piccoli nuclei, con patologie psichiatriche o psichiche di diversa natura, ma tutte socialmente inabilitanti.

La solitudine che è dentro a queste storie marca la qualità di queste esistenze.

E’ un progetto che vede una ramificazione su tutti i municipi della Capitale, che mette insieme pubblico e privato, cittadinanza e comunità, case e convivenza condominiale, aspetti sociali e sanitari, staticità e movimento pastorale.
Grazie a questa opportunità abbiamo visitato già numerose situazioni, che oggi abbiamo iniziato ad “abitare”, per essere segno di prossimità e di comunità inclusiva. Una situazione complessa, spesso difficile, sicuramente indicativa di un bisogno di rivedere il nostro modo di essere città, territorio, comunità ecclesiale, testimoni di possibilità e di inclusività. Quello che stiamo vedendo, ascoltando, sentendo deve diventare strumento pedagogico di cambiamento e riflessione.

Partiamo da cosa sta dietro a quella definizione data di “barbonismo domestico”.

Una riflessione più approfondita sul “mondo vissuto” che emerge accostando questi due termini, almeno da quello che appare dai primi mesi di lavoro, è di un “mondo vissuto” alla stregua della mostruosità di una istituzione totale. I cancelli, le chiavi, le porte chiuse, letti spesso vissuti come spazi di contenzione, finestre sbarrate. Ma quello che angoscia più di ogni altra cosa è l’assenza: non c’è nessuno, un isolamento totale. Le persone che abitano questi spazi è come se fossero, ognuna di loro, un internato, invisibile al mondo. Nella casa una quantità enorme di cose, di oggetti, di rifiuti, come se ognuna di queste cose potesse parlare, affrontare un dialogo, riempire una solitudine. Accumulare, conservare, tenere accanto a sé.

“Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono sfruttati ma rifiuti, avanzi”. ( Evangelii Gaudium)

La violenza dell’isolamento e la tortura della porta chiusa diventano intollerabili. Cosa ci dicono le donne e gli uomini che incontriamo? La persona che abbiamo di fronte è “l’essere nel mondo” abitato da nessuno e quel mondo è la sua storia. E capire questa appartenenza è importante per interpretare i significati del suo linguaggio. Il suo linguaggio non è lo strumento per comunicare ma è il declinare le modalità del suo pensare e del suo percepire l’altro da sé. Se non comprendiamo il mondo della persona che abbiamo di fronte non stiamo parlando con nessuno. Ma come facciamo a percepire il mondo dell’altro? Lo percepiamo solo attraverso il “sentire”, entriamo nel suo “mondo vissuto” con il sentimento, perché il sentimento conosce. Il sentimento è sempre un sentimento d’amore. L’incontro è sempre un incontro d’amore. Il riconoscimento dell’altro come altro da se stesso frantuma la condizione di isolamento; riaffiora nella persona il desiderio della mancanza e in questo senso il desiderio è sempre un movimento di apertura verso l’altro. Le persone tornano ad ascoltare il battito del proprio cuore perché la sola percezione del suono è il segnale del ritorno alla vita vissuta. Il riconoscimento di esserci rimette in condizione la persona di riattivare capacità e risorse tenute fino ad allora prive di possibilità di affermazione. Le porte si aprono, le finestre non sono più sbarrate entra una luce, i letti tornano ad essere oggetti del riposo. Ora si può iniziare a condividere con ogni persona quali sono i possibili significati che emergono dalla narrazione del loro“mondo vissuto” per rimodulare e rigenerare il proprio agire in funzione di un ritorno alla vita sociale.

Massimo Pasquo
Servizio “Aiuto alla Persona”

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