L’Italia in cui viviamo oggi è la rappresentazione plastica di quel passaggio d’epoca di cui tante volte ci ha parlato Papa Francesco. Una fase di transizione in cui coesistono le manifestazioni di una nuova sensibilità, di un nuova attenzione alle persone e alla loro umanità con i comportamenti riconducibili ad una vecchia cultura, competitiva ed egoista.
Durante la pandemia abbiamo assistito al sacrificio di tanti medici, infermieri, operatori sanitari e sociali, persone meravigliose in grado di dare tutto per il bene degli altri. Ma anche, e più semplicemente, all’impegno di tanti, che hanno mostrato tutta la loro soddisfazione nel sentirsi utili alla collettività. Al tempo stesso, però, abbiamo dovuto registrare comportamenti rabbiosi, intolleranti, crudeli come nel caso delle inconsulte reazioni al rilascio della volontaria Silvia Romano.
In questo momento sembrano estremizzarsi dunque sia i comportamenti generosi, orientati al bene, sia i comportamenti di insofferenza,ostilità: nell’editoriale del 17 maggio il direttore di Avvenire Marco Tarquinio notava che è come se ci fossero mezze Italie e frazioni di mezze Italie che coesistono. E proprio questa compresenza così radicale, così polarizzata ci fa capire che siamo di fronte a un bivio ad una decisione da prendere come collettività, meglio, come genere umano.
Siamo di fronte a una scelta, e i tempi sono prossimi: la pandemìa ci ha dimostrato che la mancanza di dialogo, di sincerità, di competenze, il prevalere di ragioni di interesse economico e di potere sulla salute e sul bene delle persone, portano a drammi che sfociano in tragedie. Il coronavirus non è la prima occasione e non sarà l’ultima a dimostrarci quanto l’uomo si sia allontanato dalla via del Bene, dalla costruzione di una società veramente umana. Ce lo ha ricordato una volta per tutte Papa Francesco con l’enciclica Laudato Si’, in cui la difesa della “casa comune” diventa la grande strada per ritrovare il senso di uno sviluppo sostenibile e integrale, in cui venga difeso “tutto l’uomo e tutti gli uomini”.
Se ci pensiamo bene questa può essere, al di là delle preoccupazioni per il virus, una stagione di impegno energico e vitale. Prendere consapevolezza dei nostri errori individuali sì , ma soprattutto collettivi; capire che siamo incamminati su una via che ci porta crisi a ripetizione, moltiplicando sacche di diseguaglianza intollerabili. Vanno ormai riconosciuti i limiti di un modello di sviluppo che sviluppo non è, perché sta aggravando in maniera intollerabile la ricchezza mirabolante e opulenta di pochi e la povertà miserabile di troppi. L’adorazione della ricchezza senza limiti è oggettivamente una cultura del non senso, una cultura di morte. E si stanno moltiplicando gli studi autorevoli che dimostrano come un liberismo selvaggio e senza remore abbia prodotto ovunque disastri irrimediabili.
Si avverte la necessità di un cambio di passo, di una energia liberante e benedetta che ci aiuti, tutti insieme, a rinascere, a costruire una cultura collettiva più sana. Tanti sono i percorsi da attivare, le dimensioni da tenere presente. E certo non si possono abbozzare facili ricette. Si può però provare a suggerire alcune piste di riflessione per contribuire a questo profondo bisogno di rinnovamento, e che, a ben vedere, hanno tutte a che fare con la relazione tra esseri umani. Tra esse, una delle prime è certamente il superamento del “settarismo”.
L’abbandono della logica di schieramento per intraprendere la strada di una comunità dialogante ci appare non più procrastinabile, in particolare in rapporto alla dimensione territoriale. Ogni realtà locale (regionale, comunale, di quartiere,) ha specificità che sono spesso risorse, qualche volta limiti. Il rapporto con il territorio, oltre che beneficamente identitario, non può escludere percorsi di sana autocritica che possano produrre ripensamenti salutari.
Un’altra pista da seguire è il rapporto delle persone con la “tecnologia inevitabile”: essa pervade ormai ogni aspetto della vita umana e si è visto come in una situazione tanto anomala può colmare assenze e impossibilità. Ma, attenzione, dovremo fare in modo che essa non perpetui e anzi aggravi diseguaglianze e povertà, escludendo larghe fasce di popolazione che non hanno accesso o non hanno le competenze necessarie.
Un altro tratto culturale da ripensare è l’apertura all’intelligenza femminile, al “genio” femminile come lo definiva San Giovanni Paolo II. Non si tratta di nominare qualche donna in posizione di visibilità, né di quote elettorali: si tratta di cambiare l’atteggiamento con cui ci si rapporta alle donne, ancora paternalistico (nel migliore dei casi). Non dimentichiamo la diffusione della violenza in famiglia, anche durante la pandemia. E allora meno premi e celebrazioni in rosa, più rispetto diffuso, più pari considerazione delle esigenze, delle qualità e soprattutto, del contributo che uomini e donne insieme, ragazze e ragazzi possono portare alla società del futuro.
Un’ultima indicazione :il dialogo tra religioni che tanto può fare per la rinascita dell’umanità .È importante che dopo gli incontri apicali si “incarni” nella quotidianità della vita, delle parrocchie, delle associazioni culturali alla ricerca di ciò che unisce e rende fratelli. Quando ci si conosce, la paura si dissolve o diventa al più cauta considerazione.
Può essere entusiasmante contribuire ciascuno a cambiare veramente epoca.
Elisa Manna
Area Studi e Comunicazione