Era giovedì 5 marzo ed ero di turno per la lezione con i nostri studenti della classe Alfa. La sera precedente la televisione aveva dato la notizia che le scuole sarebbero state chiuse. Subito la domanda: e domani che faccio? rivolta ai miei responsabili. La risposta è stata di limitarsi ad informare i ragazzi della situazione e salutarli senza fare lezione.
Pochi minuti per cercare di spiegare la gravità della situazione sanitaria, cosa stava accadendo e il motivo della chiusura della scuola e vedere subito la delusione sui loro volti. Forse non capivano la gravità della situazione anche se stavano vivendo anche loro questi momenti quasi surreali dovuti al Covid-19, ma sicuramente non avevano le stesse informazioni e la stessa consapevolezza di chi comprende la lingua e la rapidità delle informazioni.
Da quella mattina pensavo di non vederli più chissà per quanto tempo, che si sarebbero persi nei mille rivoli della città senza più pensare allo studio dell’italiano, forse l’ultima, in quel momento, delle loro priorità.
E invece si è aperto improvvisamente un altro mondo. Perché non provare a rintracciarli e cercare di continuare le lezioni a distanza? La cosiddetta DAD! Iniziativa lanciata da un volontario di Caritas e sposata immediatamente da molti di noi insegnanti volontari, da provare, sperimentare certamente, ma perché no? Per ogni classe sono stati individuati dalla Scuola i recapiti telefonici degli studenti e qualche insegnante si è fatto carico di chiamarli uno per uno proponendo di continuare la scuola collegandoci inizialmente con gli smartphone. Per la mia classe ho anche spiegato il funzionamento di un’applicazione (dopo averla appresa io a mia volta grazie all’impegno di un volontario esperto di informatica che ci ha insegnato ad usarla), telefonando ai ragazzi, provando e riprovando a fare con loro le prove di collegamento. Insomma, grazie alla sinergia tra la struttura e i volontari a metà aprile abbiamo iniziato questa nuova avventura che ancora continua, essendo ripresa alla grande e forti dell’esperienza della prima fase, con il nuovo anno scolastico.
Questa esperienza ha consentito ai ragazzi desiderosi di apprendere l’italiano di continuare l’apprendimento, sono stati puntuali e presenti, interattivi grazie anche all’uso di applicazioni più semplici per le comunicazioni rapide di compiti e verifiche. Ci ha permesso di entrare con loro in maggiore intimità e conoscenza reciproca, nonostante il sistema sembri non consentirlo. Personalmente mi ha arricchito entrare in un contatto che poi ha permesso di mostrare i loro e i nostri ambienti.
Gioire nel vedere che uno studente vive in una accogliente e dignitosa abitazione con i propri genitori lavoratori in Italia; oppure constatare che sta in un centro di accoglienza dove deve condividere lo spazio con altri che durante la nostra lezione parlano ad alta voce a pochissima distanza; o vedere che per trovare un posto tranquillo vaga di sala in sala per poi rifugiarsi sul proprio letto a castello, unico luogo che può garantire un po’ di intimità, alternativa al vicino parco cittadino, all’aperto.
Ho conosciuto e interagito con genitori, sorelle, figli; ho visto acconciature e vestiti bellissimi, preparazione di cibi, ambienti semplici o comunità. Loro hanno visto cosa cucino, ciò che mangio, quello che faccio la mattina prima o dopo la lezione, qualche parte della mia casa.
È faticoso fare queste lezioni: pensare un lavoro che sia comprensibile su uno schermo di un telefono, trovare il modo di condividerlo, renderlo interessante e non noioso. Caricare foto, testi, video per poi mostrarli, inventare modalità non ripetitive di lavoro.
La didattica “in presenza” dal punto di vista dell’apprendimento è più semplice per entrambe le parti: non servono “media”, c’è una lavagna, uno spazio fisico nel quale muoversi, per verificare il lavoro svolto, uno spazio di socializzazione e di scambio. Tutto vero, ma la neutralità del campo di intervento – la classe – paradossalmente toglie intimità alle relazioni che invece si riescono a sviluppare anche attraverso quel piccolo schermo. Incredibilmente anziché allontanare, questo piccolo riquadro di pochi centimetri mi ha avvicinato maggiormente agli studenti e mi ha fatto conoscere e prendere consapevolezza ancora di più di tutte quelle realtà ben lontane dalle nostre oltre a misurarmi con dimensioni di insegnamento e conoscenze nuove.
Paola Abbruzzetti
Insegnante volontaria
Scuola di italiano del Centro Ascolto Stranieri