Celebriamo la Pasqua, la Risurrezione del Cristo, la vittoria della vita sulla morte.
Facile celebrare vittoria e vivere la gioia se la vita non ha arato lunghi solchi di sofferenza e di fatica. Ma, come si riesce a trasmettere la gioia del Cristo Risorto a chi sta soffrendo, a coloro che vivono nel dolore, a quanti hanno difficoltà anche a sapere se riusciranno a mangiare qualcosa?
Sono andato alla mensa di Colle Oppio la Domenica delle Palme. Dopo un pochino, si è seduto alla stessa tavola, uno degli ospiti. Dopo alcune battute e parole convenevoli, si è accorto che ero sacerdote ed ha subito proferito queste parole: «Padre, sono contento per lei!» Per cosa? «Perché Dio la ama! Di me invece si è dimenticato del tutto, anzi forse mi odia proprio».
Ho provato a fare un cenno di disaccordo e, probabilmente avendo paura che gli stessi per fare la predica, ha subito tagliato corto: «Se si ricordava di me, se ci teneva un pochino a me, non vivrei solo come un cane e dimenticato da tutti, dalla mia famiglia, e da una società che si schifa di me».
Sono rimasto in silenzio, provando a cercare negli angoli del cuore, parole che lo riscaldassero. E mi chiedevo: tu cosa gli diresti, Gesù? Siamo rimasti in silenzio, e ci siamo guardati per un pochino. E mi è venuto in mente ciò che avevo appena detto alla celebrazione: Il Dio nel quale credo, non ti salva dalle vicende brutte della vita, ma ti guarda e sta con te, ti ama da morire, anzi fino a morire con te.
Non avevo altre parole, e abbiamo finito il pranzo in silenzio. Alla fine mi ha salutato e ringraziato per la compagnia.
Ecco, sono poche le parole che possono essere dette a ciascuno di noi, ma soprattutto agli uomini e alle donne che vengono alle mense e negli ostelli per senza dimora, tra le baracche in cui trovano riparo i migranti “accolti” nel nostro Paese, nei campi dove abbiamo segregato i rom, tra le donne vittime di violenza e di tratta che insieme ai loro bambini trovano rifugio nella case famiglia. E a coloro che vivono il peso della malattia oppure chi non riesce a reagire alle tante difficoltà della vita.
Pasqua, è celebrazione di vita, di vicinanza del Risorto. E chi sperimenta la fatica della vita, sa accogliere e insegnare la straordinaria esperienza della storia dell’umanità: il Figlio di Dio ha sofferto, è stato perseguitato ed è stato ucciso, facendo quasi compagnia la numero interminabile di persone di questo nostro mondo.
I poveri sono maestri di vita, ci ripete spesso il nostro papa Francesco. Accostandoci e facendo compagnia a chi vive la passione, viviamo l’esperienza di “aiutanti aiutati”, fugando il rischio di essere cristiani che “stanno a guardare dai balconi”, e possiamo toccare la carne viva del nostro Signore.
Allo stesso tempo, i poveri ci costringono a rivedere le cosiddette “priorità” del nostro quotidiano: quelle dell’avere, del possedere e dell’apparire. Ci insegnano a vivere. Con la solidarietà riescono a sopravvivere anche nell’indigenza più estrema: mettono insieme il poco che posseggono. Ci testimoniano quello che è più profondo nel cuore umano: lo slancio verso la vita, la capacità di superare le difficoltà, la forza nelle situazioni che sembrano insuperabili, la grande capacità di amare. Sono maestri anche perché vanno avanti nei momenti di sconforto: capaci di continuare il loro cammino anche senza avere chiara la meta.
In questa Pasqua, l’augurio e la preghiera che sento di chiedere per ciascuno di noi, in questa sinfonia di incontri tra diverse povertà, è di poter vivere la grazia di sentire che siamo tutti dei privilegiati e dei benedetti.
Ci possono essere difficoltà innumerevoli, paure e dolori, ma su tutti noi possano riecheggiare le parole che San Serafino di Sarov rivolgeva a coloro andavano da lui: «Gioia mia, Cristo è risorto!».
Mons. Benoni Ambarus
(Roma Sette del 4 aprile 2021)