Il «nucleo irriducibile» dell’amore

IMG_8792Beati i ventitré missionari martiri che hanno saputo donarsi per amore e con amore. I 13 sacerdoti, gli otto laici, il religioso e la consacrata uccisi nel 2017 in varie parti del mondo sono stati ricordati giovedì 22 marzo, nella basilica di San Giovanni in Laterano, durante la veglia di preghiera diocesana per la carità dedicata ai missionari martiri, organizzata per la prima volta insieme dalla Caritas e dal Centro diocesano per la cooperazione missionaria tra le Chiese, dedicata al tema “Beati voi…carità fino al martirio”. Per ognuno di loro è stata accesa una candela, posizionata ai lati di un crocifisso posto dinanzi all’altare ai cui piedi c’erano cinque lampade con i colori dei cinque continenti.

Un momento di preghiera per ricordare «il nucleo vitale e irriducibile della fede, l’amore» ha spiegato il vicario, monsignor Angelo De Donatis che ha presieduto la celebrazione. Commentando il brano delle beatitudini che «contiene il dna del cristiano», il vicario ha rimarcato che «Gesù non vuole canonizzare il disagio e la disperazione ma spiega che la beatitudine piena si ha quando nonostante le tribolazioni si continua a credere nella bontà di Dio, si ha totale fiducia in Lui». I testimoni del Vangelo che offrono la propria vita per i poveri e per la fede e tutti coloro che quotidianamente compiono questa missione anche Roma tra i malati, i carcerati, le persone sole e tra coloro che vivono per strada «hanno tolto dal loro sguardo due veli, l’intimismo, la tomba della fede, e lo spirito di dominio», ha spiegato De Donatis. Alla base della vita di un testimone della fede ci sono due esodi: quello che dal proprio “io” porta all’apertura verso il “tu”, il prossimo che ha bisogno di aiuto, e poi da questi al Signore. (Il testo integrale dell’omelia).

Durante la veglia suor Gemma, delle Missionarie della carità fondate da madre Teresa di Calcutta, ha spiegato che le consorelle residenti nei Paesi dilaniati dalla guerra vivono a contatto con i più poveri cercando di essere «uno di loro, per loro e con loro» condividendo le paure ma infondendo tanta speranza. «Con tutti i nostri difetti, limiti e peccati – ha aggiunto – il Signore ci chiama a vivere e a donare l’amore da Lui ricevuto e non possiamo rifiutarci». Ha ricordato che molti anni fa durante la crisi in Medio Oriente alcune suore telefonarono spaventate a Madre Teresa e lei le incoraggiò a non avere paura ma a continuare ad amare fino alla fine perché «siamo chiamati a identificarci con i poveri che serviamo».

Don Gabriele Petreni appartiene alla Fraternità dell’Incarnazione, un’associazione pubblica di fedeli. Le religiose dell’associazione operano nell’ex-residence Bastogi, poi divenuto struttura per l’assistenza alloggiativa del Comune di Roma. I sacerdoti, invece, esercitano il loro ministero all’idroscalo di Ostia e, da 25 anni, nel “serpentone” di Corviale. «Testimoniamo la volontà della diocesi che chiede alle comunità cristiane di avere un’attenzione particolare verso gli ultimi, i poveri e chi vive nel disagio» ha detto. Il sacerdote ha spiegato che Corviale è un palazzo che ha «la peculiarità di essere una parrocchia», una comunità di 8mila persone che è stata capace di tessere relazioni autentiche pur tra grandissime difficoltà. «Mandare migliaia di persone nel “deserto” – ha concluso – è stata una violenza inaudita perpetrata dall’agenzia educativa più importante che ci dovrebbe essere: lo Stato italiano».

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