Oltre Dayton per sperane nella pace

Intervista a monsignor Pero Sudar, già vescovo ausiliare di Sarajevo e tra i fondatori delle Scuole per l’Europa: un’esperienza di riconciliazione che inizia dalle nuove generazione.  A trent’anni dall’assedio della capitale bosniaca, il presule offre una panoramica sulla situazione molto difficile in Bosnia ed Erzegovina e le prospettive di pace.

A trent’anni dall’assedio di Sarajevo, il più lungo e drammatico avvenuto in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, sono ancora vive le ferite di quella guerra in un contesto ancora drammaticamente frammentato. In un quadro così complicato esistono però realtà diverse, che cercano di unire questo paese attraverso la creazione di un sistema scolastico differente rispetto a quello stabilito dagli Accordi di Dayton. In questo senso è emblematico l’esempio delle Scuole per l’Europa, nate grazie a monsignor Pero Sudar, già vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Sarajevo, che abbiamo incontrato per conoscere la genesi e la struttura delle Scuole per l’Europa oltre che per parlare della Bosnia ed Erzegovina fra passato, presente e futuro.

Prima di parlare delle Scuole Per L’Europa, le va di parlarci del suo rapporto con Sarajevo?
Sono arrivato a Sarajevo nel 1971 per studiare Teologia all’Università e qui ho passato la maggior parte della mia vita. Dopo i miei studi universitari, ho trascorso vari periodi fuori, fra cui 6 anni a Roma e sono tornato definitivamente a Sarajevo nel 1985. Il mio rapporto d’amore con questa città è aumentato dopo la guerra e questo è dovuto al fatto che la sofferenza ha il valore positivo di rafforzare ulteriormente e in modo indissolubile il sentimento amoroso con il luogo e con le persone con le quali si è condivisa questa sofferenza. Lì dove certi valori umani sono compromessi, come nel caso di una guerra e dell’assedio di Sarajevo, il tentativo di condividerli e portarli avanti ugualmente cambia la vita di tutti e rende certi sentimenti eterni e proprio in quest’ottica il mio amore per questa città è definitivamente diventato eterno. Andare via da qua mi sarebbe sembrato un tradimento e ancora oggi i miei problemi di salute sconsiglierebbero la mia permanenza in una città così inquinata, ma il mio rapporto con Sarajevo è indissolubile. 

Quando e come ha cominciato a pensare al sistema delle Scuole Per l’Europa?
Ho cominciato a pensarci durante la guerra, poiché fra i motivi dell’emigrazione della Bosnia vi era l’odio etnico presente anche nelle scuole in particolar modo per quegli studenti che si trovavano in una posizione di minoranza etnica rispetto agli altri. In questo senso abbiamo pensato di aprire una piccola scuola per i bambini cattolici come una sorta di rifugio per loro in Croazia proprio nei primi mesi dell’Assedio. Sono poi tornato a Sarajevo nel gennaio del 1993, in pieno assedio, e la possibilità d’istruzione per i ragazzi di tutte le età era fortemente limitata. Grazie all’aiuto tecnico dei soldati francesi delle Nazioni Unite abbiamo cominciato ad organizzare le scuole e siamo riusciti ad aprirle nel 1994. Dall’apertura della prima scuola a Sarajevo, abbiamo poi esportato il modello nel resto del paese e oggi si trovano anche in altre città della Bosnia ed Erzegovina.

Il grande elemento di discordanza rispetto a quanto previsto dagli Accordi di Dayton è quello di non vincolare la formazione delle classi e il reclutamento degli insegnati all’appartenenza etnica. Può chiarirci meglio questo concetto?
Le nostre scuole, per quanto legate alla chiesa cattolica, sono aperte a tutti e vogliono superare l’idea, secondo me diabolica, della separazione etnica e religiosa. Anzi le nostre scuole vogliono essere un laboratorio di pace e di incontro, convinti che portare in classe insieme ragazzi di religioni diverse possa educare loro e anche le loro famiglie alla convivenza. Tale esperimento si è realizzato in molti casi ma purtroppo non siamo abbastanza grandi e l’ideologia della divisione etnica rimane e continua a causare tantissimo odio ancora oggi.

Come si configura l’offerta formativa delle Scuole per l’Europa?
Ovviamente una parte segue le indicazioni e le direttive statali, ma le nostre scuole si concentrano moltissimo su tre campi in particolari. Il primo di questi è rappresentato dallo studio delle lingue e delle letterature classiche. L’Europa è nata dalla civiltà greca e dalla civiltà latina e non studiare le proprie radici porta a non poter comprendere cosa sia e cosa debba rappresentare l’Europa. In particolar modo i valori fondamentali della persona sono stati definiti da queste civiltà nelle loro lingue. Per poi portare avanti l’interazione con gli altri popoli europei è necessario lo studio delle lingue europee, nelle nostre scuole si studia l’inglese sin dal primo anno scolastico e dal quarto anno si introducono altre due lingue a scelta fra il tedesco, il francese, l’italiano e lo spagnolo. D’altro canto il nome scelto deriva proprio dalla voglia di avvicinare la Bosnia ed Erzegovina al resto dell’Europa. Infine il nostro terzo campo è rappresentato dall’insegnamento dell’informatica come materia obbligatoria sin dai tempi della guerra. Rispetto alle altre scuole offriamo poi lo studio della storia delle religioni in modo tale che tutti gli alunni possano sentir parlare delle altre religioni non in un discorso d’odio, ma con la convinzione che ogni religione nasca dall’esigenza di risposta alle domande fondamentali umane e di conseguenza ogni religione contribuisce in maniera positiva allo sviluppo della persona umana. Oltre a questo vi è anche l’insegnamento facoltativo della religione alla quale ogni ragazzo appartiene, che può essere sostituito dall’insegnamento dell’Etica secondo la scelta individuale dei ragazzi. Nelle nostre scuole è proibito che i ragazzi di altre religioni possano studiare la religione cattolica e questo perché siamo fortemente contrari a ogni forma di proselitismo all’interno delle nostre scuole. Nelle nostre scuole organizziamo laboratori di educazione alla democrazia e all’ecologia, poiché sono temi troppo storicamente trascurati nel nostro paese anche a causa del passato jugoslavo, che ci ha impedito di vivere in un vero e proprio sistema democratico.                La democrazia è quel sistema in cui deboli, forti, poveri e ricchi sono valorizzati e contano allo stesso modo e purtroppo negli ultimi sei secoli questi valori sono stati ignorati.

Come vengono scelti gli insegnanti?
Attingiamo dalle graduatorie pubbliche degli insegnanti senza però portare avanti nessuna distinzione etnica nella scelta dei professori. I criteri di assunzione fanno riferimento infatti alla preparazione e non all’appartenenza etnica dell’insegnante, a differenza di quanto avviene nel sistema pubblico.

Quali sono i finanziamenti di cui disponete?
Sin dall’inizio il problema dei fondi è stato uno dei più grandi, anche a causa delle difficoltà economiche e logistiche dovute alla distruzione di tanti luoghi di culto e di edifici religiosi in generale durante il conflitto. Disponiamo di finanziamenti statali grazie a un nostro ufficio, che si occupa delle relazioni con i vari dipartimenti educativi dei differenti cantoni bosniaci. In particolar modo le spese correnti e il pagamento degli stipendi degli insegnati avvengono grazie al finanziamento statale. Per quanto riguarda le spese di costruzione e ammodernamento degli uffici abbiamo ricevuto finanziamenti esteri in particolar modo da parte della Cei e dell’organizzazione cattolica tedesca Renovabis.

Quale può essere il ruolo della scuola per la transizione dal post-conflitto alla pace?
Il ruolo della scuola è fondamentale per la crescita individuale e collettiva da sempre nell’esperienza umana, sin da quando nell’Antichità si è deciso che non dovessero essere più solo le famiglie a provvedere all’educazione e si sono quindi poste le basi per la creazione della scuola e i primi insegnanti erano i più validi all’interno di ogni società. Sin da allora si è capito quanto l’educazione incidesse per la prosperità umana collettiva e individuale a livello cognitivo e non solo. L’uomo medievale attingeva principalmente dalla famiglia, dalla scuola e dalla chiesa. Oggi la realtà è molto diversa e oltre alla chiesa anche la famiglia è in grandissima crisi, anche a causa dell’organizzazione della società per la quale i genitori sono spesso costretti a un’attività lavorativa che li impegna molte ore al giorno proprio per provvedere al sostentamento dei figli. La scuola si trova ad essere il luogo principale nel quale trasmettere non soltanto il sapere, ma anche per comunicare i valori sui quali deve fondarsi la società. Uno dei valori fondamentali su cui ogni società deve fondarsi è sicuramente rappresentato dalla convivenza e quindi dalla capacità di accettare e saper vivere con la diversità. Questo discorso risulta ancor più vero in un paese come la Bosnia ed Erzegovina e in generale in ogni società che esce dalla guerra, durante la quale ovviamente il valore della convivenza viene totalmente a mancare. La convivenza è una cornice per la vita e anzi risulta essere l’unico modo per vivere in pace. Questo valore nel nostro paese non è però ancora conosciuto ed apprezzato del tutto e per questo motivo il ruolo delle nostre scuole è fondamentale. Un’alunna delle nostre scuole ci ha fatto notare in un evento pubblico quanto tutto questo fosse un’illusione e purtroppo aveva ragione, ma noi crediamo comunque che sia importante far conoscere e divulgare tale ideale proprio perché smetta di essere soltanto un’illusione anche se la maggioranza non lo condivide. Per quanto mi riguarda senza la capacità di poter apprezzare l’altro come se stesso, il mondo di oggi è perso e in questo modo lo è anche la Bosnia ed Erzegovina, per di più da sempre terra dell’incontro fra diversità religiose e non solo. In questo senso rappresentiamo l’Europa in piccolo ed è fondamentale per noi propagare questo valore qui e ovunque.

A trent’anni esimo dall’inizio dell’assedio, come ha visto cambiare e che futuro vede per il suo paese?
Purtroppo ancora oggi il presente dimostra che l’essere umano fatica a vivere la democrazia, che si configura come approccio alla vita per il quale è fondamentale il rispetto e la cooperazione reciproca fra esseri umani. Tale approccio continua a essere in difficoltà ovviamente anche nel nostro paese sin da tempi antichi. L’Impero Ottomano ha diviso i propri cittadini secondo il principio della religione e tale divisione si è mantenuta, rendendo impossibile l’uguaglianza fra i cittadini. Anzi con l’avanzare della modernità al principio della religione si è aggiunto il principio etnico, che ha ulteriormente distanziato i cittadini fra di loro favorendo così il sorgere dell’odio e della segregazione etnica in Bosnia ed Erzegovina. Il criterio della divisione è dietro anche i crimini della guerra e purtroppo si è mantenuto anche negli Accordi di Dayton. In questo modo dopo una guerra ingiusta vi è stata una pace altrettanto ingiusta, che ha costretto la gente a continuare ad odiarsi e ad essere diffidenti in modo reciproco. Per di più con questi accordi si è creato da un lato uno stato centralizzato, vale a dire la Repubblica Srpska, e dall’altro una federazione, quella croato-bosniaca, completamente decentralizzata e divisa in cantoni con la figura dell’Alto Rappresentante a provare a mediare e talvolta a dover imporre provvedimenti. In questo modo si è creato un circolo vizioso che non riesce a pacificare il nostro paese ma che anzi contribuisce a nuove tensioni, come nel caso dei recenti problemi proprio fra l’Alto Rappresentante e la Repubblica Srpska. Tutto questo era evidente sin quando sono stati firmati gli Accordi di Dayton, ma si è provato a ignorarlo per far terminare la guerra. Solo per questo motivo il nostro popolo, esausto della guerra, ha accettato questi accordi. Per questi motivi, per quanto vorrei, non riesco a vedere in nessun modo un futuro positivo per la Bosnia ed Erzegovina.

L’unico modo per sperare in un futuro diverso è quindi rappresentato dal superamento degli accordi di Dayton?
Assolutamente sì, poiché non si può mettere una foto dritta all’interno di una cornice storta quale è Dayton. L’unica speranza per questo paese è superare questi accordi e sono convinto che gli stessi cittadini, i quali hanno accettato Dayton, accetterebbero una soluzione diversa. Con una soluzione diversa paradossalmente la Bosnia ed Erzegovina potrebbe diventare un esempio positivo di convivenza fra mondo islamico, mondo ortodosso ed Europa per tutto il mondo. Senza questo passaggio la Bosnia ed Erzegovina rimarrà un paese nel quale il presente è sempre in pericolo e senza futuro, dal quale quindi i giovani sono costretti a scappare. Bisogna avere il coraggio di dire che il merito di Dayton è nell’aver posto fine alla guerra, ma riconoscendo allo stesso tempo che ha impedito la pace.

Paolo Castelli
Servizio civile internazionale con Caritas a Sarajevo

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