Così, sull’azzardo, ci siamo messi in gioco…

140312-021È una mattina di inizio febbraio e il progetto di prevenzione contro il gioco d’azzardo promosso da Caritas Roma nelle scuole si appresta a inaugurare il secondo semestre di attività.
Le classi che incontreremo sono quattro, in una scuola media nella periferia nord della città.
Il viaggio in auto ci lascia la sensazione di attraversare un mondo, di superare una cortina invisibile. Possiamo intenderla sia in senso fisico che, come abbiamo scoperto confrontandoci con i bambini e le bambine, esistenziale.

Innanzitutto la barriera fisica: l’attraversamento di tangenziali, strade a scorrimento rapido, il traffico e l’intrecciarsi geometrico di corsi e sopraelevate per poi, improvvisamente, vedersi proiettati nella frescura umida della Riserva Naturale dell’Aniene, lungo la Nomentana.
E poi la barriera esistenziale: insieme al traffico delle ore di punta e delle zone più centrali della città ci lasciamo dietro anche, inconsapevolmente e con sorpresa, la distanza che separa le persone tra di loro. Ancora non lo sapevamo, ma quella mattina, infatti, i ragazzi ci avrebbero consegnato testimonianze vive e personalissime del sottile equilibrio che separa la normalità dal consumo problematico di gioco d’azzardo, permettendoci di riscontrare in prima persona quanto questa pratica sia diffusa nelle maglie della quotidianità anonima delle grandi città.

Entriamo nelle classi, una dopo l’altra. Una classe ogni ora, per quattro ore. Incontriamo gli ormai consueti sguardi indagatori, curiosi e vivi con cui veniamo sempre accolti nelle scuole. L’attenzione in generale è alta e questo va a nostro favore: i ragazzi pongono molte domande di chiarimento, tanto da costringerci a rivedere “in corsa” i contenuti che avevamo programmato di presentare. Le loro richieste ci spingono ad approfondire, anticipare, soffermarci su alcuni temi anziché su altri. Insomma, l’incontro prende subito quota e la partecipazione si fa sempre più intensa e personale.
Ad un certo punto, però, l’interazione cambia sfumatura. Anche se con tempi e modi differenti, lo sperimentiamo in tutte le classi: si moltiplicano le mani alzate, e le voci squillanti scandiscono in fretta frasi come “ieri mio nonno mi ha regalato un gratta e vinci”; oppure “mio padre ha vinto mille euro con le scommesse sportive”; o ancora “io abito sopra una sala slot”. Alcuni fanno riferimento a situazioni familiari davvero preoccupanti: madri che giocano regolarmente e con intensità notevole; padri che portano i figli a scommettere e che chiedono a loro i pronostici, nonni “fissati per il bingo”, parenti che hanno distrutto le loro famiglie a seguito di comportamenti patologici di gioco d’azzardo. Non ci viene detto altro, sono frasi semplici, descrittive, pronunciate in fretta e con spontaneità una dopo l’altra.
Abbiamo l’impressione di essere in un gioco, come quando si lancia un sasso nello stagno e si rimane a guardare quale forma prenderanno i cerchi sull’acqua: i ragazzi aspettano qualcosa da noi, hanno lanciato il sasso; in questi momenti di apertura l’atmosfera rimane sospesa, perché ci viene chiesto di uscire dagli argini dei contenuti, delle teorie, dei concetti. Vogliono vedere quali forme appariranno sulla superficie dell’acqua.

Che cosa dire? E soprattutto, come dirlo senza ferire nessuno ma rimanendo comunque fermi e chiari nella trasmissione di informazioni corrette sui rischi legati al gioco d’azzardo? Non possiamo dimenticare che i ragazzi ci stanno parlando del comportamento di figure adulte verso cui ripongono una smisurata fiducia (come è giusto che sia), ma neanche ignorare che ci sono almeno altre venti “teste” pensanti in ciascuna classe, che hanno ascoltato l’intervento del compagno e ora, almeno quanto chi ha fatto la domanda, sono in attesa di una nostra reazione.
È come se avessero percepito che in effetti qualcosa non va nelle relazioni che hanno intorno ma, allo stesso tempo, non sapessero dare un nome a quel disagio. È così che, parlando insieme, qualcosa sembra sbloccarsi: inizia a maturare la consapevolezza di come il gioco d’azzardo rovina le persone e le famiglie e si innesca una reazione critica a questo consumo insensato.

La sensazione che ci lasciano questi momenti è che la sensibilizzazione contro il gioco d’azzardo sia anzitutto un’opera di verità: è come sollevare il coperchio di un “vaso di Pandora”, di situazioni che siamo consapevoli di non conoscere abbastanza da poter giudicare, ma che aprono al confronto con i ragazzi e permettono di attivare in loro uno sguardo più critico e resistente, capace di mobilitare quel sapere pratico, “esperienziale”, che hanno accumulato di giorno in giorno. Lo capiamo quando, spessissimo, avviene ciò che gli psicologi definiscono insight, “illuminazione”: una frase, una parola che all’improvviso diventano la chiave che sblocca qualcosa di sepolto, riposto in qualche stanza interiore, della memoria, degli affetti, del pensiero.

Al termine degli incontri, non c’è molto altro da dire: torniamo in ufficio consapevoli che il percorso con queste classi è appena iniziato e che è necessario mettere a frutto tutta questa ricchezza che ci è stata gratuitamente consegnata. In effetti, è grande il privilegio di portare la prevenzione tra i più piccoli, perché ci si accorge immediatamente di essere contraccambiati con la loro fiducia.
Altrettanto grande, allora, è il senso di responsabilità che ci investe in quanto operatori di fronte alle richieste di aiuto o alle segnalazioni di difficoltà, e che rende ogni esperienza nelle scuole il tassello di un percorso: non solo per i bambini o ragazzi, ma anche per noi.

Gli operatori del progetto
(S)Lottiamo contro l’azzardo

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